Edith Bruck : « Cara mamma, a 90 anni posso dire : ho dato un senso alla mia sopravvivenza »…

— Ecrit le vendredi 21 janvier 2022 dans la rubriqueHistoire, Littératures”.

À propos de mon dossier « Edith Bruck« ,

cet article-ci dans le Corriere della Sera

de ce 21 janvier 2022 :

Edith Bruck: « Cara mamma, a 90 anni posso dire : ho dato un senso alla mia sopravvivenza »

di Alessia Rastelli

In occasione del Giorno della memoria, 7 ha intervistato la scrittrice sopravvissuta, quand’era appena 14enne, a sei diversi lager nazisti _ Auschwitz, Dachau, Kaufering, Landsberg, Bergen-Belsen, Christianstadt, et Bergen-Belsen, à nouveau. La sua testimonianza e tutta la sua vita sono lo sforzo «di rendere rielaborabile ciò che non lo sarà mai». Il racconto dai giorni di morte al premio Strega Giovani e alla visita di Papa Bergoglio

desc img

La scrittrice Edith Bruck, 90 anni, nata a Tiszabercel, in Ungheria, e naturalizzata italiana, nel soggiorno della sua casa, a Roma (foto Ada Masella)

« Racconta. Non ci crederanno ma tu racconta, se sopravvivi racconta anche per noi ». È la fine di marzo del 1945 e una giovanissima Edith Bruck, non ancora quattordicenne, arrivata a Bergen-Belsen dopo una marcia disumana, si sente rivolgere questa preghiera da parte di altri prigionieri : compagni in fin di vita che lei stessa è costretta a trasferire nel Todzelt, la tenda della morte. Edith promette, e mantiene la parola. « Finché riuscirò, continuerò a testimoniare », assicura ancora oggi, novantenne, ricordando quel giorno a Bergen-Belsen, nel sesto lager in cui era stata trasferita dopo la deportazione ad Auschwitz. Nell’aprile del 1945, la liberazione. Ma tornare alla vita non è semplice. Si sposta tra l’Ungheria, dove è nata in una famiglia ebrea, la Cecoslovacchia, Israele, per poi stabilirsi in Italia nel 1954. Svolge diversi lavori, cameriera, ballerina, direttrice di un istituto di bellezza, fino a quando non diventa scrittrice, poi poetessa, traduttrice, autrice teatrale, sceneggiatrice, regista di film, e intanto moglie e zia amata. Eppure, dice, « non ero più quella di prima e non lo sono mai tornata ».

IL 27 GENNAIO 1945 L’ARMATA ROSSA LIBERA IL CAMPO NAZISTA DI AUSCHWITZ. DAL 2005, A LIVELLO MONDIALE, IL 27 GENNAIO SI CELEBRA IL GIORNO DELLA MEMORIA PER NON DIMENTICARE L’OLOCAUSTO E I MILIONI DI VITTIME CHE PRODUSSE

Per tutta la vita la sua opera è testimonianza, e in fondo lo sforzo estremo, disperato, per lei « gonfia di parole » di rendere rielaborabile ciò che non lo sarà mai. Edith Bruck parla con 7 dalla casa di Roma _ Via del Babuino, 72 _, in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio, mentre torna in libreria la Lettera alla madre scritta nel 1988 (una nuova edizione da La nave di Teseo, che pubblica anche gli altri titoli citati in questo testo).

desc img

Sua madre morì dopo l’arrivo ad Auschwitz. Vi separarono, e non la vide mai più.

desc img

La copertina di « Lettera alla madre » di Edith Bruck

« Ricordo che, scesa dal treno, ero letteralmente aggrappata alla sua carne. Un soldato mi sussurrò di spostarmi a destra, il che voleva dire una possibilità di sopravvivenza perché la fila di mia madre andava dritta alla camera a gas, ma noi non lo sapevamo. Insisteva, mamma si inginocchiò implorandolo di lasciarle almeno l’ultima dei sei figli. Furono colpi su colpi finché, ferita all’orecchio, mi ritrovai a destra ».

Visceralmente unite, ma diverse. Sua madre era molto religiosa, severa, lei era « la figlia più piccola che osava pensare, dubitare ». Nella nuova introduzione al libro, scrive: « Adesso sei tu che potresti essere mia figlia e potrei sgridarti io ». È stato possibile ricomporre nel tempo, dentro di sé, il rapporto con una madre persa ad Auschwitz ?


« Il libro è una sorta di dialogo postumo. Quando eravamo a Tiszabercel, il villaggio in cui sono cresciuta, mi sembrava che la mamma parlasse più con Dio che con noi figli. Non ci baciava, non ci coccolava. Io facevo qualsiasi cosa per una carezza. Oggi posso capirla. Lottava come una leonessa per vestirci, per sfamarci, e l’amore era l’ultima cosa. Eravamo poveri, e i poveri non hanno tempo. Divenne affettuosa quando ci portarono via ».

« SCESE DAL TRENO, ERO AGGRAPPATA ALLA CARNE DI MIA MADRE. UN SOLDATO MI SUSSURRÒ DI SPOSTARMI A DESTRA. LEI ANDAVA ALLA CAMERA A GAS »

desc img

Una foto della famiglia Bruck prima della deportazione nei lager : da sinistra il fratello Laci, la mamma Berta, le sorelle Adele e Magda, ed Edith

Il 20 febbraio del 2021 ha ricevuto la visita di Papa Francesco. E sempre nell’introduzione scrive a sua madre : « Se tu ci avessi visti, cos’avresti detto ? ».


« Quella visita è stata molto importante. Altri predecessori di Papa Francesco avevano chiesto perdono, ma lui è venuto a casa. Mi chiederò sempre cosa avrebbe pensato la mamma. Lei credeva profondamente nella religione ebraica. Io, invece, certo che sono vicina al popolo al quale appartengo, ma ho una mentalità più universale ».

Incontrò i pontefici Wojtyla e Ratzinger. Che ricordo ha ?


« Vidi Giovanni Paolo II il 13 aprile 1986 a Roma, quando per la prima volta un Papa entrò nella Sinagoga. Ero emozionatissima, mi aspettavo verità mai sentite. Mi strinse la mano, mi disse : “ Piacere di conoscerla ”. Restai un po’ delusa. Quando invece venne Benedetto XVI sembrava come congelato, probabilmente da tedesco era in imbarazzo ».

desc img

Edith Bruck con Papa Francesco durante la visita a casa del febbraio 2021

Lei conclude il romanzo autobiografico Il pane perduto, finalista allo Strega 2021, con una « Lettera a Dio ». « Io » dice « che ho sempre scritto d’un fiato giorno dopo giorno, ora improvvisamente mi fermo con la mano sospesa e lo sguardo fisso sul vuoto, è nel vuoto che Ti cerco ».


« Papa Francesco ha approvato quella “Lettera”, spiegando che Dio è una ricerca continua. Per me la fede è l’amore per il prossimo, chiunque sia. È condivisione, è accoglienza. Mia mamma diceva: se qualcuno bussa alla porta, aprila. Mio padre donò l’unico cappotto a un uomo più povero. Dal mio punto di vista, non vai in chiesa e poi dici che i migranti possono affogare ».

« PRIMO LEVI MI CHIAMÒ 4 GIORNI PRIMA DI MORIRE. “ ERA MEGLIO AD AUSCHWITZ ”, DISSE. FORSE PER LA PRIMA VOLTA FECE UN VOLO LIBERO »

desc img

Una giovanissima Edith Bruck. Nel 1944, a neppure 13 anni, viene deportata ad Auschwitz e poi in altri lager. Nell’aprile del 1945 viene liberata a Bergen-Belsen (foto Istituto Luce/Contrasto)

In Lettera alla madre cita un amico scrittore, « il testimone più ascoltato, amato stimato letto ».


« Primo Levi mi chiamò al telefono quattro giorni prima di morire. Era depresso, cercai di consolarlo. “Era meglio ad Auschwitz” mi disse “adesso non c’è più speranza”. Da qualche tempo si era operato, assisteva la madre cieca. E lo angosciava il negazionismo. “Ti rendi conto” esclamava “negano già ora che siamo in vita”. Io sono tra chi crede si sia suicidato. Quando seppi che era morto, mi arrabbiai. Come se non avesse avuto il diritto di togliersi la vita, perché apparteneva alla storia. Forse per la prima volta fece un volo libero ».

Come trasmettere la memoria ? Come diventare messaggeri ?


« A volte vado nelle scuole con il cuore pesante ma quando esco potrei volare, perché vedo che c’è risposta. Ai ragazzi servono difese per il futuro. Quando non ci saranno più i testimoni toccherà agli storici e agli insegnanti. Non sarà facile perché si stanno già allungando le ombre del fascismo, dell’antisemitismo, del razzismo ».

Che effetto le ha fatto vedere i no green pass a Novara vestiti da deportati ?


« È stato orribile, una coltellata. Episodi del genere dovrebbero preoccupare tutti, non solo i sopravvissuti. Così come altre cose che accadono : le manifestazioni di Forza Nuova, le bandiere con la croce uncinata, il negazionismo. Non sono frutto di improvvisazione, c’è la destra dietro, anche se si comporta come se non la riguardasse ».

« Mussolini ha ancora la cittadinanza e invece non viene concessa ad Adele Di Consiglio, scampata alla barbarie nazifascista ». Con questa motivazione lo scorso novembre lei ha rifiutato il Premio della Pace del comune di Anzio.
« Se andassimo a scavare, troveremmo cittadinanze al Duce in tantissimi centri d’Italia. Dopo quel “no”, spesso ora mi chiedono lettere per denunciare casi simili. Ma di nuovo mi domando: perché non si mobilitano anche altri cittadini ? È importante che tutti facciano la loro parte ».

L’Italia non ha elaborato il suo passato ?


« Nessun Paese l’ha fatto. L’unica che ci ha provato è stata la Germania. Purtroppo le mostruosità stanno tornando. Pensiamo ai profughi lasciati morire al confine con la Polonia. O alla mia Ungheria, prima fascista, poi comunista, ora sotto Viktor Orbán. Spesso gli individui vanno dietro a chi domina in quel momento. Non sembrano avere imparato dagli errori, e io davanti a questo mi smarrisco ».

desc img

Edith Bruck nella sua casa romana (foto Ada Masella)

L’Unione europea nacque come sogno di pace dopo la Seconda guerra mondiale. Ci crede ancora ?


« Ahimè vedo molto nazionalismo. Perché, ad esempio, dire “prima gli italiani” ? Nessuno dovrebbe venire prima di un altro. E bisognerebbe amare il proprio Paese con lucidità, non ciecamente. In nome della patria sono morte milioni di persone. Io la parola “patria” neanche la userei. Si potrebbe dire semplicemente “amo il mio Paese”. Tutti i Paesi sono belli, invece si diffonde l’odio ».

Dilaga anche online. Tra chi ne è stato colpito c’è la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz, che a novant’anni ha voluto promuovere proprio una Commissione contro l’istigazione all’odio.


« Quando la insultano è come se insultassero me. Mi identifico. E non solo con lei. Mi identifico anche se l’odio si riversa contro qualcuno perché è straniero o fa parte di una minoranza. Conosco Liliana, ma noi sopravvissuti non parliamo tra noi di deportazione. Ognuno ha il suo vissuto, a seconda della propria sensibilità, persino della classe sociale ».

Lei scrive che essere nata povera l’aiutò a sopravvivere.


« La fame, il freddo, le malattie ci decimavano e l’avere già sperimentato una vita dura aiutava a resistere. Inoltre le donne si rivelarono più forti. Quando c’era la selezione, ad esempio, per mostrarsi più in salute si pizzicavano le gote o se le cospargevano di acqua e fango. Gli uomini furono meno in grado di gestirsi. La cultura che li aveva coccolati, con mogli e madri al loro servizio, li rese inermi ».

Fuori dal lager, tornare alla vita non fu facile.


« Dopo la guerra nessuno voleva ascoltare. Tutti dicevano che anche loro avevano sofferto. Ci sentimmo rifiutati, spazzatura ».

Lei provò a trasferirsi in Israele.


« Mia madre mi raccontava della Terra promessa, era la fiaba più bella. Arrivai in Israele, in uno Stato neonato, nel 1948. Neppure lì ascoltavano. Volevano una generazione forte, che non strisciasse contro i muri. Soldati, perché eravamo in guerra. Invece noi eravamo avanzi dei lager, inseguivamo un sogno ma la realtà come un colpo secco ci fece ritrovare nei campi di transito, in fila per il cibo. Io non ce l’ho fatta, anche se mi dispiace ».

Cosa pensa di Israele oggi ?


« Vorrei ci fosse la pace con i palestinesi. Vorrei che raggiungessero a tutti i costi la convivenza reciproca ».

« L’AMORE PER NELO NON È DIMINUITO. PER ME LUI C’È. LA COSA PEGGIORE FU QUANDO MI CHIESE : “CHI SEI ?”. L’HO CURATO PER 10 ANNI, È STATO BELLO »

desc img

Edith Bruck con il marito Nelo Risi, poeta e regista, scomparso nel 2015. Edith arrivò in Italia nel 1954, a 23 anni. A Roma, conobbe Nelo. Nel 1959 fece il suo esordio da scrittrice con « Chi ti ama così » (foto Giuliano Benvegnu)

Nel 1954 arrivò in Italia. Prima Napoli, poi Roma, dove incontrò il regista e poeta Nelo Risi.


« Mi innamorai subito. Era sensibile, con il mio stesso impegno civile : trovai una parte di me in lui. Ricostruii una famiglia, anche con sua madre, con il fratello Dino. Nelo aveva tanta pazienza ma forse gli ho detto troppo, troppe volte. Quando ci diedero lo sfratto, piansi per tre settimane. Mi rassicurava : “Vogliono solo aumentare l’affitto”, ma nemmeno lui poteva capire fino in fondo. Nella testa risentivo i gendarmi che in Ungheria gridavano “fuori” ».

Nelo Risi è morto nel 2015. Era malato di Alzheimer. « Io sono io e te » gli ha scritto in Ti lascio dormire , una lettera postuma del 2019.


« Il mio amore non è mai diminuito. Per me lui c’è. La cosa peggiore fu quando mi chiese : “Chi sei ?”. Lì forse mi sono sentita di nuovo, per un attimo, un numero nei lager. L’ho curato da sola per oltre dieci anni. So che posso sembrare pazza, ma sono stati i più belli della mia vita. Non sono mai stata così necessaria, mi sentivo pienamente ripagata ».

Il ministro della Salute Roberto Speranza l’ha chiamata a far parte della Commissione per la riforma dell’assistenza agli anziani.


« Partecipo volentieri. Vorrei che da anziani si potesse restare nelle proprie case il più a lungo possibile. Altrimenti ci si spegne in fretta ».

Come vive la pandemia ?


« Ho pianto quando ho visto i camion con le bare. In quei giorni c’era un silenzio assoluto, che mi ha ispirato la raccolta di poesie Tempi . E tra gli aspetti di sofferenza di oggi, c’è anche il freddo elenco dei numeri. Ovviamente Auschwitz non è paragonabile, ma un essere umano non è un numero, è un mondo. Servirebbe parlare diversamente della morte ».

La scrittura, in italiano, l’accompagna da oltre sessant’anni. Come si svolgono adesso le sue giornate ?


« L’italiano mi ha difeso, mi ha tenuto un po’ a distanza, l’ungherese era troppo doloroso. Oggi riesco ancora a scrivere a mano ma, per alcuni problemi di vista, non posso battere a macchina né trascrivere sul pc. Mi aiutano Olga Ushchak, la donna ucraina che dopo la scomparsa di Nelo è rimasta con me come una sorella. E alcuni amici, come Michela Meschini, dell’Università di Macerata, alla quale il destino mi ha unito qualche anno fa ».

Il 2021 è stato il secondo anno del Covid ma anche quello in cui Sergio Mattarella l’ha nominata Cavaliere di Gran Croce, in cui è stata finalista allo Strega e ha vinto lo Strega Giovani e il Viareggio-Rèpaci per la narrativa.


« Sono contenta soprattutto che il libro sia stato letto. Elisabetta Sgarbi pubblicherà tutti i miei titoli, ed è questo che conta: che i volumi vivano ».

Da ragazzina avrebbe voluto « riparare il mondo ». Pensa di averlo fatto almeno un po’ ?


« Sicuramente ho compiuto il mio dovere e questo ha dato un senso alla mia sopravvivenza. Entro i miei limiti e possibilità, spero di avere contribuito a migliorare qualcosa. Da parte di tutti, ogni goccia di bene  è importante perché, come ci siamo detti con Papa Francesco, il mare immenso è fatto di tante infinite piccole gocce ».

À suivre…

Ce vendredi 21 janvier 2022, Titus Curiosus – Francis Lippa

L'envoie de commentaire est désactivé

Chercher sur mollat

parmi plus de 300 000 titres.

Actualité
Podcasts
Rendez-vous
Coup de cœur