de 18h 30 à 20h 30, au Château de Thouars à Talence, pour l’ouverture de la 4e édition du « Printemps italien » dans la métropole bordelaise,
et dans un français impeccable,
Dacia Maraini_ née le 13 novembre 1936 à Fiesole _a été lumineusement splendide.
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À propos de son œuvre _dont « La Vie silencieuse de Marianna Ucria » et « Le Bateau pour Kôbé : journaux japonais de ma mère« (celui-ci traduit en français par Nathalie Castagné) : deux récits particulièrement emblématiques de son « donner une voix« à qui est privé, momentanément ou durablement, de la parole (ou de l’écoute) : Marianna, ainsi, était sourde et muette ; quant à la famille de Dacia au Japon, c’était quand celle-ci a été internée au Japon, pour son anti-fascisme, pour avoir refusé allégeance au régime de Salò…; « Voix« étant aussi, très significativement, le titre d’une œuvre importante, « Voci« , en 1994, de Dacia Maraini… _,
dont elle a dit _ et c’est là le fondement ferme et constant de la conception que Dacia Maraini assigne à sa littérature… _ que chacun de ses romans est comme une réponse un peu développée _et c’est là un euphémisme : en bien plus qu’une année d’écriture… _ à un personnage _ ou « caractère« , a-t-elle dit : historique ou bien contemporain… _ qui frappe un instant à sa porte, toc-toc, se présente à elle, et finit par demander, d’abord à passer la nuit en quelque chambre, puis, au matin, prendre un bon petit-déjeuner, et finalement séjourner le temps qu’il faudra en sa compagnie _ d’écriture (pour elle, réceptrice de cette voix qui demande à être un peu et enfin écoutée) de l’histoire à narrer de son récit, qui appelait ainsi, très instamment, à être donné et transmis, par elle, Dacia, à être raconté, et partagé, et reçu vraiment, par le menu infiniment sensible, et ainsi enfin « parlant« , par le passage à l’écriture (et après la lecture) d’une vraie littérature (l’unique qui vaille ! le reste, de divertissement, n’étant rien que misérable et très vaine imposture…), de ses plus significatifs très humbles, mais vrais détails, par les lecteurs les découvrant au fil de ce récit ;
en une forme de « mission civique » pour la médiatrice-réceptrice de cette voix qui demandait à être enfin entendue, que se fait alors, en quelque sorte, l’écrivaine-médiatrice, elle-même humble porte-parole de cette humilité profonde de victimes sollicitant d’être un peu écoutées et enfin un peu entendues, et reçues, via cette littérature… _ ;
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à propos des femmes _ surtout celles qui, telle sa mère, Topazia, dans l’épreuve, sont fortes ;
et, en réponse à une question mienne sur les écrivaines italiennes qui comptaient le plus pour elle, Dacia, celles qu’elle a qualifiées (telle fut en effet sa très forte expression) d’ « écrivaines-mères« pour elle : Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Lalla Romano,Goliarda Sapienza… _,
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et à propos de l’infiniment tendre douceur de son ami Pier-Paolo Pasolini_ dont elle a détaillé le récit de leurs voyages (sous la tente), avec aussi Alberto Moravia, dans les contrées les plus misérables d’Iran, Inde, Yemen, ou Afrique ; en marquant bien l’importance des détails les plus quotidiens, humbles, et même triviaux, à relever et figurer, en l’écriture, comme de très maigre et pauvre nourriture vitale partagée, telle une poignée de riz mêlée de cadavres de mouches, par exemple…
Le 3 mars 2022, a paru, aux Edizioni Neri Pozza, « Caro Pier Paolo« , de Dacia Maraini, à propos duquel voici la vidéo (d’une durée de 48′ 41) d’un entretien, le 16 novembre 2022, entre l’auteur, s’exprimant en un français magnifique, et Stefania Graziano-Glockner, la présidente du Festival « Le Printemps italien« …
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Une bien belle soirée.
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Ce samedi 18 mars 2023, Titus Curiosus – Francis Lippa
È morto Bernardo Bertolucci, l’ultimo grande maestro del Novecento
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Il regista aveva 77 anni.
Ha attraversato la storia del cinema mondiale con capolavori come ‘Novecento‘ e ‘Ultimo tango‘.
‘L’ultimo imperatore‘ ha vinto nove Oscar, compreso miglior regia e sceneggiatura
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di IRENE BIGNARDI
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26 novembre 2018
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Se non fosse davvero esistito, il personaggio Bernardo Bertolucci – poeta, documentarista, regista, produttore, polemista, autore per eccellenza del cinema italiano, star del cinema internazionale – prima o poi, questo personaggio più grande che natura l’avrebbe inventato qualcuno, per raccontare, in maniera romanzesca ed esemplare, quello che ha attraversato il cinema nella seconda metà del secolo scorso, dallo sperimentalismo al cinema d’autore, dalla cinefilia alla grandeur, dai low budget alle megaproduzioni, dal provincialismo alla visione internazionale. Il regista di capolavori come Novecento, Ultimo tango a Parigi, Il té nel deserto, Piccolo Buddha e L’ultimo imperatore, il film da nove Oscar, è morto all’età di 77 anni a Roma dopo una lunga malattia.
… … Bertolucci racconta Ultimo tango e Novecento : « Il cinema della trasgressione »
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Il figlio del poeta e la natia Parma
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Bernardo Bertolucci, in queste avventure e capovolgimenti era sempre lì, da protagonista o da testimone del secolo. Così italiano e così internazionale. Così sofisticato e così nazional-popolare. Così letterario e così visuale. E non si può non restare stupefatti di fronte a una vicenda umana e a una carriera cinematografica che si sono aperte nell’Appennino di Casarola di Parma, la casa di famiglia dei Bertolucci, e hanno percorso le strade del mondo per viaggiare sempre, però, nello Zeitgeist, nello spirito del tempo, quello spirito che Bernardo, con antenne da vero artista, ha saputo identificare, interpretare, raccontare. Della favola, a tratti amara, sempre avventurosa che è stata la vita di Bernardo Bertolucci, ricordiamo l’inizio veramente da favola.
Quando il bel ragazzo ventenne, figlio di un grande poeta come Attilio Bertolucci, amico di Pier Paolo Pasolini, amato da Moravia, vicino a Elsa Morante, a Cesare Garboli, a Enzo Siciliano, a Dacia Maraini, vince a vent’anni il Premio Viareggio per la poesia con Il cerca del mistero. Da questo laboratorio culturale – in cui a tempo debito si muoveranno anche la sua bella moglie inglese Clare People e il fratello più giovane di Bernardo, Giuseppe -, dalla tradizione letteraria e musicale della sua natia Parma, discendono, oltre all’amore di Bernardo Bertolucci per i testi letterari, il gusto per il melodramma, l’amore per le scene madri, l’approccio mitico e popolare, la tendenza postmoderna a costruire con materiali preesistenti – quelli che, direbbe Violeta Parra, formano il suo canto. E quindi, su una filmografia di sedici film, a realizzare ben cinque film di origine schiettamente letteraria pur restando un autore straordinariamente visivo.
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Bertolucci si racconta al Bif&st : « Quando scambiai Pasolini per un ladro«
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L’incontro con PPP e la nascita della Nouvelle Vague italiana
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È un percorso cinematografico affascinante. Bernardo lavora come assistente di Pasolini, gira documentari, affronta il primo film, La commare secca, su un’idea di PPP e con atmosfere tipicamente pasoliane. Poi un secondo, Prima della rivoluzione, nel 1964, una riscrittura a chiave di La Certosa di Parma, che diventa il suo manifesto cinematografico, annuncia il suo lato cinefilo (« Non si può vivere senza Rossellini » è la citazione imperdibile) e lo promuove autore e cantore della borghesia di fronte ai cambiamenti drastici che segnano gli anni ’60. E se inizialmente il film viene accolto con freddezza dal pubblico e dalla critica italiana (ma, a Venezia, c’è chi gli consiglia di tornare a fare il poeta), e giusto un po’ meglio dai francesi, in compenso Pauline Kael, la dea della critica americana, assieme a un gruppo di « miracolosamente talentuosi ragazzi francesi » celebra anche Bernardo Bertolucci e il suo film, « stravagantemente bello per i suoi eccessi », dove si racconta la bellezza della vita « prima » della rivoluzione. Alberto Moravia, in una sua accesa recensione, equivocherà e parlerà di « dopo » la rivoluzione, reinterpretando il film secondo l’equivoco. Poco importa. Quello che conta è che dalla cinefilia e dalla poesia è nata una stella, a cui si affiancherà , un anno dopo, a costituire il nucleo della Nouvelle Vague italiana, Marco Bellocchio con l’eversivo I pugni in tasca.
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‘Ultimo tango a Parigi‘, in sala la versione restaurata – trailer
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Tra il ’68 e Ultimo Tango
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Nel fatidico ’68 Bertolucci gira un film tipicamente sessantottino, Partner. Poi nel 1970, per la Rai, quello che all’epoca colpì tutti come un piccolo, sofisticato gioiello, Strategia del ragno, ispirato a Borges. Per darci nel 1970, ancora, quello che resta forse il suo film più compiuto, maturo, personale, Il conformista, che trasforma ed è al tempo stesso fedele al testo di Moravia. Un film che se non riuscì all’epoca a farsi amare dal pubblico italiano, di nuovo venne amato dalla Kael, che lo definì « un’esperienza sontuosa, emotivamente piena« – e che a tutt’oggi di Bertolucci resta il film più riuscito, concluso, coerente.
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Ma il fenomeno internazionale B.B. esplode con Ultimo tango a Parigi, e la complessa vicenda giudiziaria/ censoria che seguì, e che rende difficile giudicare il film fuori dal suo contesto di scandalo. Uno scandalo paragonato dalla solita Kael allo shock culturale prodotto da Le sacre du printemps. E il fatto che Bernardo Bertolucci ogni tanto sia ritornato sulle sue responsabilità (o meglio sarebbe dire sulla sua irresponsabilità) nell’imporre scene e atmosfere brutali a Maria Schneider, non fa che rinnovare negli anni lo shock prodotto a suo tempo e a rendere più difficile un giudizio. Che all’epoca a taluni è sembrato semplice: intense le scene in interni, con un superbo Marlon Brando invecchiato e dolente, imbarazzanti le parti con Schneider e Leaud, appassionante (nonché discutibile) il tema della trasgressione e del sesso come unico valore.
La storia delle vicende giudiziarie di Ultimo tango è un romanzo in se stesso, un po’ grottesco un po’ horror, tra condanne alla perdita dei diritti civili e roghi medievali di pellicola. Ma è la storia che ha creato la fama internazionale di B. B. e che gli consente nel 1976, sempre sensibile agli umori del tempo e ad anni di cultura di sinistra dominante, di girare Novecento, un’epica grandiosa e “hollywoodiana”, piena di grandi nomi del cinema nostro e internazionale, che racconta cinquant’anni di storia padana, a tratti potente e commovente, a tratti retorica e manieristica , sempre audace per le dimensioni e le ambizioni. Dopo la ricezione tiepida, nel 1979, di La luna, che racconta l’ambiguo e difficile rapporto , ai confini dell’incesto , di una madre e di suo figlio adolescente, dopo La tragedia di un uomo ridicolo( 1981), una storia di avidità provinciale e rapimenti, che conquista a Tognazzi un premio a Cannes ma ha un risposta modesta dalle sale, nel 1987 Bertolucci conquista a sorpresa nove Oscar con un film veramente epocale, un trionfo di diplomazia e creatività, di gusto scenografico italiano e di abilità narrativa, L’ultimo imperatore, un grande successo a livello mondiale che apre le porte del mondo cinese e consacra Bernardo Bertolucci come un grande regista internazionale.
… L’ultimo Bertolucci dal Té nel deserto a Io e te
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Tornato in Italia dopo un lungo periodo a Londra, sua seconda patria, Bertolucci, con Io ballo da sola, da un racconto di Susan Minot, esalta la bellezza del Chiantishire e il piacere di vivere « dopo » la rivoluzione. Con Il té nel deserto (1990) riscopre l’opera di Paul Bowles e il mondo tragico ed elegante degli “expat”. Quindi si muove, nel 1993, verso il Nepal, per raccontare la storia di Piccolo Buddha e aprire alle culture orientali. Nel 1996, tornato a Roma, dirige tutto in interni la storia di un’ossessione amorosa, L’assedio. Mentre nel 2003 ritorna all’amato, mitico ’68 con la storia di tre ragazzi che intrecciano scoperte erotiche, politica e cinefilia in The Dreamers, un film di scoperto voyeurismo e di scoperta nostalgia che per molti versi riconduce alle atmofere diUltimo tango. Ma la malattia che da anni lo assedia, sta avendo il sopravvento. Bertolucci non riesce a « montare » il suo Gesualdo da Venosa, un film a cui pensa da tempo. Gli restano le storie intime e private, e gira, praticamente sotto casa, un intenso incontro scontro tra fratello e sorella in Io e te ( 2012), dal romanzo di Niccolò Ammaniti. È la fine della bella favola. Ma Bernardo Bertolucci, il ragazzo poeta, il regista, la star, il premio Oscar, se ne va lasciando un segno che resta.
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Soit le récit d’un très riche
et particulièrement beau
parcours cinématographique.
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Ce lundi 26 novembre 2018, Titus Curiosus – Francis Lippa