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Quelques nouvelles de Claudio Magris, lecteur comme auteur, auteur comme lecteur ; un contemporain essentiel : il vient de publier « Croce del Sud »

11sept

Ce matin, je découvre dans le numéro de ce jour du Corriere della Sera quelques nouvelles récentes du cher Claudio Magris,

à travers un entretien qu’il vient de donner,

à l’occasion de la sortie, chez Mondadori, de son livre Croce del Sud ;

ainsi que de sa présence, ce vendredi 11 septembre, au Festival de littérature de Mantoue,

dont le titre est, cette année, « Note a piè di pagina nella storia »…

L’entretien

_ qui prolonge en quelque sorte, à mes yeux, les réflexions d’Alberto Manguel sur sa bibliothèque _

est intitulé : Traduttore, creatore infinito. Ogni libro ne nasconde un altro.

Le voici :

Traduttore, creatore infinito. Ogni libro ne nasconde un altro

Monti, Dreyden, Lin-Shu che rese in mandarino il «Don Chisciotte» senza conoscerne la lingua : storie di parole e scoperte. Claudio Magris l’11 settembre al Festivaletteratura

di CLAUDIO MAGRIS
Stati Uniti, gli incendi devastano la costa occidentale: bimbo di un anno trovato morto
Tim Mara (Dublino, 1948 – Londra,1997), «Lightbulb and book» (1996, litografia e stampa a colori su carta, particolare), courtesy Tate Britain, Londra
shadow

Le parole sotto le parole, scriveva un maestro della linguistica come Jean Starobinski, riferendosi agli anagrammi di un altro grande, Ferdinand de Saussure. Ogni parola ne copre, ne nasconde e ne contiene un’altra e quando la si usa è come smuovere il terriccio, evocarne e farne apparire altre, come oggetti sepolti nella terra o nella memoria, individuale e collettiva _ voilà. Ogni espressione ha a che fare con questa miniera nascosta ; più di ogni altro la traduzione, che per ogni espressione ne ha ben più di una a scelta, una cava stratificata nella mente dell’autore che si traduce e nelle civiltà che si incrociano in lui. Tradurre significa non tanto comunicare quanto ricreare _ voilà _ una vicenda, un destino, facendoli restare se stessi ma insieme diventare altri. Tradurre è una forma di scrittura, non meno creativa di altre cosiddette originali ; Vincenzo Monti ha inciso sulla letteratura italiana più con la sua versione dell’Iliade che con i suoi versi in proprio, e John Dreyden considerava la sua traduzione dell’Eneide il proprio capolavoro letterario.

La copertina del nuovo libro di Claudio Magris «Croce del Sud», in libreria per Mondadori
La copertina del nuovo libro di Claudio Magris «Croce del Sud», in libreria per Mondadori

Si traduce, in genere, da una lingua all’altra ma talvolta — è accaduto spesso — da un testo a sua volta già tradotto, cosa che moltiplica le rifrazioni e rende più ardua, anche discutibile ma non meno creativa e culturalmente importante la ricreazione finale. Un poliedrico studioso e scrittore, Mikaël Gómez Guthart, ha scritto un affascinante e bizzarro saggio, Lin-Shu, autore del Chisciotte. Lin-Shu, racconta Gómez Guthart, era un geniale erudito cinese, pittore, calligrafo e poeta — che per la lirica cinese sono quasi la stessa cosa —, romanziere e soprattutto traduttore. Non conosceva le lingue degli autori che ha fatto leggere ai lettori cinesi — Balzac, Dumas padre e figlio, Hugo, Goethe, Cechov, Ibsen, Tolstòj, Shakespeare, Stevenson, Cervantes, Montesquieu. Si faceva leggere in mandarino orale i testi dai suoi assistenti che conoscevano la lingua originale e poi li traduceva, attraverso gli occhi di un altro, come scrive Guthart _ et je pourrai y adjoindre les traductions du japonais de René de Ceccatty (en collaboration avec Ryôji Nakamura) ; pour ses traductions de l’italien, sa situation à l’égard de la langue à traduire est assez différente, comme il le narre en son magnifique Enfance, dernier chapitre ; cf aussi le podcast de mon entretien avec lui le 27 octobre 2017

Non è certo un corretto procedimento scientifico, perché rischia di trasformare o trasforma la traduzione in una copia-variazione di ventagli che si sovrappongono. Ma anche Isaac Bashevis Singer ha tradotto in jiddisch Hamsun senza conoscere il norvegese, e d’Annunzio senza conoscere l’italiano, diffondendo quei capolavori nella Mitteleuropa e nell’Europa orientale ebraica. Gombrowicz — è sempre Guthart che lo ricorda — riscrive in Argentina, con l’aiuto di due scrittori cubani che non conoscevano il polacco, il suo Ferdydurke, lo ritraduce con l’aiuto di un professore in francese ed è questa la versione che dalla Francia si diffonderà in tutta Europa e nel mondo.

Lin-Shu diviene, in modo analogo, il traduttore-autore del Don Chisciotte. Quel romanzo è, in questa prospettiva, esemplare anche perché alle origini della sua scrittura c’è la segreta idea che ogni testo sia sempre la traduzione o il rifacimento di un altro ; lo stesso Don Chisciotte sarebbe, nella finzione di Cervantes, la versione del romanzo di un autore arabo. In questo gioco di specchi Lin-Shu può apparire l’autore di Don Chisciotte non meno di Cervantes. È come se, sotto ogni libro, ce ne fosse sempre un altro, il caos — prima, contemporaneamente, al di fuori di ogni misura temporale — che il Verbo ordina e sempre ricrea. Probabilmente i traduttori esistevano prima della Torre di Babele. In quasi ogni Robinsonade, le numerose imitazioni e rifacimenti del Robinson Crusoe nel Settecento, il naufrago solitario sull’isola trova segni e carte di un altro naufrago vissuto e morto anni prima, che racconta a sua volta di predecessori. Profondo è il pozzo del passato, dice la prima riga della tetralogia di Mann, Giuseppe e i suoi fratelli.

Il mio maestro Giovanni Getto affermava di aver trovato, nel romanzo secentesco Historia del cavalier perduto di Pace Pasini — che a sua volta si riferiva a una storia di prepotente jus primæ noctis nel Veneto — una sorta di ipotetico «originale» dei Promessi sposi, dando così ancor più spessore al capolavoro manzoniano.



Chi avresti voluto essere? Così sembra talora chiedere l’autore al personaggio che sta narrando e che quanto più vivo e vero, tanto più sente sfuggire al suo controllo, come diceva Tolstoj a proposito di Anna Karenina : «Fa ciò che vuole». Ma l’autore pone talora questa domanda pure a se stesso — ai propri sogni e desideri, alle proprie incertezze, alla nebbia fluttuante della propria persona.

Se lo chiede, nel romanzo _ a-t-il été publié ?Les passants essentiels, un originale traduttore-scrittore, Jean Pastureau, che ha trascorso la vita _ il est né le 26 juillet 1940 à Limoges ; il vit à Apt, en Provence… _ a tradurre splendidamente in francese, insieme alla moglie Marie-Noëlle, libri altrui, soprattutto italiani, traduzioni straordinarie che sono diventate pure la sua scrittura personale, la sua indagine ma anche la sua invenzione della realtà _ Jean et Marie-Noëlle Pastureau sont les principaux traducteurs-passeurs en français de l’œuvre de Claudio Magris… Probabilmente per Jean Pastureau non c’è differenza tra essere narratore e traduttore, quasi due arrangiamenti di un’opera linguistica.

Chi avresti voluto essere ? la risposta a questa domanda è contenuta nel capitolo forse più bello del romanzo, L’homme à la mallette. Una valigia che idealmente contiene quasi tutto — le pagine scritte, le idee su quelle che saranno scritte, le cose da tradurre, la loro immagine che spinge a tradurle, forse un giorno sulla carta ma certo immediatamente nella mente. Anche qui, parole sotto altre parole. La traduzione è, potenzialmente, una piccola e infinita biblioteca di Babele.

Quest’ultima, come nella fantasia borgesiana, contiene tutto, ogni testo, ogni sua versione, ogni sua stesura, ogni diceria sul suo autore. Chissà, forse Jean Pastureau — come Lin-Shu — aspira ad essere soprattutto traduttore ossia scrittore totale. Probabilmente non si fa illusioni sulle sue parole, tradotte o inventate. Forse non cerca nemmeno l’eccellenza letteraria. Ma, come si dice nel romanzo, c’è un’unica vera eccellenza e «risiede nel sopravvivere». La scrittura è forse un filo di Arianna che aiuta non a uscire dal labirinto, come nel mito antico, ma a penetrarvi da tutte le parti, ad avvolgerlo, in modo da depistare il cammino che vuol condurci verso l’uscita dal labirinto della vita. Una scrittura che cerca di aiutare ad uscire di scena un po’ più tardi. Non è molto ma è già qualcosa.

Il logo del Festival di Mantova
Il logo del Festival di Mantova

L’appuntamento al Festivaletteratura

«Note a piè di pagina nella storia» : è questo il titolo dell’evento in programma l’11 settembre al Festivaletteratura di Mantova. Claudio Magris, in collegamento streaming, dialogherà con lo scrittore e critico Alberto Rollo sul tema del rapporto tra vita e finzione letteraria ( ore 17, piazza Castello). Il tema dell’incontro si lega al nuovo libro di Magris, in libreria per Mondadori, Croce del Sud. Tre vite vere e improbabili, che rievoca tre figure reali : un etnologo sloveno, un avvocato francese, una suora italiana. Germanista e scrittore, Magris è nato a Trieste nel 1939.

Claudio Magris, lecteur comme auteur ; auteur comme lecteur :

un contemporain essentiel…

Ce vendredi 11 septembre 2020, Titus Curiosus – Francis Lippa

magnifique Dominique Rabaté sur le roman au XXème siècle à l’heure (« moderne ») de la décadence de la grandeur et de la défaillance des modèles (Saints et Héros) dans l’apprentissage (ou formation) du sujet « commun » (tout un chacun)

08mai

Magnifique conférence de présentation de son magnifique essai de « méditation » littéraire : Le Roman et le sens de la vie (aux Éditions José Corti)

de Dominique Rabaté, hier soir, vendredi 7 mai 2009, dans les salons Albert-Mollat,

en présence d’un public (de « lecteurs » amoureux de la « lecture de romans« , vraisemblablement…) nourri, amical

_ pas seulement, et même loin de là, composé de collègues (universitaires) : en fonction, certains, ou émérites, d’autres ; même si nombre d’entre eux étaient présents et n’ont pas manqué d’intervenir dans la séance (plus ou moins rituelle) des questions au conférencier, ensuite… _,

en présence d’un public attentif et tout à fait alléché, incontestablement,  par ce propos du conférencier d’éclairer ce genre de « lecture » (= la lecture de romans !) aujourd’hui si vivant, pour les « lecteurs » que nous (presque tous) sommes

_ vivant, chacun, notre existence subjective particulière,

séparée de celle des autres

(et par là plus ou moins solitaire, en sa « banalité«  commune partagée, aussi : les deux en même temps…),

voire singulière

(qui sait ? cf ici l’important cruciale de la « question« , pour « tout un chacun«  d’entre nous, en effet, du « sens de la vie«  pour lui, et pour nous, quand nous ne sommes pas aussi « auteurs«  de quelque « œuvre« ),

au premier chef, si je puis dire… ;

pour « tout un chacun«  qui sait et aime lire, du moins !!! cela va-t-il durer, à l’heure et ère (concurrentielles peut-être) des « images« , dont celles, mouvantes désormais, du cinéma et autres vidéos de diverses sortes : jusque sur le blog des libraires de la librairie Mollat !!!!

….

vivant, chacun, notre existence subjective particulière, donc,

en « lecteurs de romans«  tout particulièrement, en effet !

de romans davantage que d’autres genres de livres (et même de récits : la biographie, l’autobiographie, le journal intime, etc.), veux-je dire… _,

plus que jamais en 2010 :

d’où l’affluence et la vive curiosité à cette conférence vendredi soir

_ le podcast dure 65 minutes : il est passionnant ! et éclaire « magnifiquement«  ! le livre _

pour cet essai (méditatif, analytique et questionnant, plus encore…) de Dominique Rabaté : Le Roman et le sens de la vie

Le roman est devenu _ du XVIIIème au XIXème siècles _, puis est resté _ au XXème siècle ; et aujourd’hui aussi ;

même si c’est selon certaines variantes : qu’il appartient à l’essayiste, précisément, les distinguant, d’analyser (ou démonter) avec précision en leur détail (qui nous éclaire !) et dynamique ;

et nous faire, à notre tour (en « lecteurs d’essais«  alors : une spécificité un peu française, peut-être…), méditer… _,

le roman est devenu, puis est resté

en effet,

le genre littéraire rencontrant

_ auprès des lecteurs que nous sommes aussi très largement devenus en ces siècles (d’imprimerie et d’édition de livres de papier ; cf ici, par exemple, les travaux de Roger Chartier ; ou sa leçon inaugurale au Collège de France Écouter les morts avec les yeux… ; ou de Robert Darnton : cf par exemple Bohème littéraire et révolution _  le monde des livres au XVIIIème siècle…) _

le maximum de succès : il est loin, bien au contraire, de se démentir aujourd’hui ;

même si ce n’est pas nécessairement proportionnellement _ encore faut-il savoir ou apprendre à l’« évaluer«  ! _ à la qualité (du produit ; ou œuvre ! soit ici le roman !) :

sinon, c’est le temps et la postérité (= d’autres que soi ; ou du moins de « médiateurs » (instituteurs nécessaires) de son propre juger ; qui doit se former…) qui effectuent le tri (qualitatif : entre ce qui se périme, vite _ de plus en plus _, et ce qui demeure et reçoit la « reconnaissance » _ autorisée… _ de la valeur « littéraire » ; les lecteurs peu à peu finissant, et en masse, par s’y rallier (le reste de la production étant devenu caduc) à un peu meilleur escient ;

mais en attendant cette sélection qualitative médiatisée par des lecteurs compétents _ un tout petit nombre, comme a l’habitude de le dire à l’envi Jean-Paul Michel _

les romans, même de faible qualité, se lisent, s’achètent (et se vendent !) : selon des fonctionnement grégaires le plus fréquemment (cf les listes _ quantitatives, elles _ de best-sellers) :

comment se repérer, pour le lecteur encore inexpérimenté, ou débutant : mais chacun l’est, et à chaque fois, face à un auteur (ou un livre) inconnu de lui, et non précédé d’une réputation !

_ ici Jean Laurenti, modérateur de la conférence, demande très judicieusement à Dominique Rabaté de lire à haute voix un très beau passage du livre (aux pages 104-105 du Roman et le sens de la vie) explicitant lumineusement, et avec ses effets synthétisés, la distinction que celui-ci venait de faire en sa conférence entre deux concepts d’« expérience«  : celui d’Erlebnis et celui d’Erfahrung :

Dominique Rabaté avait introduit cette distinction significative, dans son essai, page 35, à propos de la géniale « lecture » par Walter Benjamin, en son article intitulé Le Conteur, (cf l’édition Œuvres III parue dans la collection Folio Essais en 2000) du « récit«  (ainsi le qualifie lui-même Walter Benjamin, plutôt que « roman« …) tel que le pratique Nicolas Leskov… : je cite le texte de Dominique Rabaté, à la page 35 :

par ce terme de « récit« , Nicolas Leskov « désigne l’art artisanal du conteur qui sait, par ses histoires, donner de sages conseils, transmettre une morale pratique, une expérience partageable par une communauté _ d’auditeurs-écouteurs assemblés en un même lieu et au même moment ; pas de lecteurs d’un écrit… _ que le mot allemand de « Erfahrung » recouvre. Cette communauté se réunit sous l’autorité de la mort _ c’est elle (et sa menace) qui plane(-nt) sur la « question«  lancinante et vrillante, ici, du « sens de la vie« , en effet ! tant pour le cas de La mort d’Ivan Ilitch que pour celui de Voyage au phare de ces deux mélancoliques que sont, au moins en l’écriture de ces deux « romans«  ici analysés, aux parties II et III de cet essai, et Léon Tolstoï et Virginia Woolf… _, ou plus exactement du sage mourant mais encore apte à léguer aux siens son savoir.

La réflexion de Benjamin prolonge d’autres études où il a insisté sur l’idée _ = sa thèse _ d’un appauvrissement de l’expérience _ subjective, personnelle ! _ dans les sociétés modernes, sociétés du journalisme, de la guerre et de la massification _ dépersonnalisante et désingularisante par là…

Pour lui, l’Erfahrung se meurt _ voilà ! est détruite, saccagée ! _ et laisse place à une expérience intransmissible, privée _ qui est, elle, du registre de l’Erlebnis (terme que l’on traduirait en français par expérience vécue, ou expérience individuelle _ = non reçue ni formée collectivement ; et expérience personnelle, par là. Giorgio Agamben a brillamment relayé ses thèses dans son livre Enfance et Histoire _ dont le sous-titre est « Destruction de l’expérience et origine de l’Histoire« …

Dominique Rabaté cite aussi, page 36, le travail, qui creuse la pensée de Benjamin encore plus loin, de Carlo Ginzburg dans Traces : Racines d’un paradigme indiciaire...

(cf pages 37-38 : « le roman, loin de simplement entériner la disparition de ce type de connaissance indiciaire _ qu’étaient les savoirs de la chasse, de la cuisine, de l’intuition psychologique que « les traités scientifiques peuvent malaisément codifier«  au XVIIIème siècle, page 36… _ devient aussi le lieu où les recueillir, où leur donner leur singularité selon les cas, les contextes, les arrière-plans que le romancier peut recréer. Je dirai donc avec Ginzburg (…) que l’Erfahrung continue d’entretenir des liens riches et subtils avec l’Erlebnis. J’ajouterai que le succès du roman à l’âge bourgeois lui vient aussi de cette mission historique : se faire l’écho et le relais _ oui ! _ des pratiques indiciaires de la connaissance au moment où celles-ci perdent leur utilité ou leur prestige social _ surtout _ contre les sciences et le savoir académique » : c’est superbe de lucidité !..) ;

et je signale, au passage, aussi, que leur traducteur (tant pour Carlo Ginzburg que pour Giorgio Agamben), de l’italien au français, Martin Rueff, sera présent

(ainsi que le très grand Michel Deguy en personne : pour son La Fin dans le monde aussi… ; de Deguy, lire en priorité son sublime « Le Sens de la visite« …)

mercredi 12 mai prochain dans les salons Albert-Mollat, à 18 heures,

pour présenter son (immense et magnifique !) essai d’analyse et synthèse de la poétique de Michel Deguy : Différence et identité _ Michel Deguy, situation d’un poète lyrique à l’apogée du capitalisme industriel ;

cf, sur lui, mon article sur ce blog du 23 décembre 2009 dernier : « la situation de l’artiste vrai en colère devant le marchandising du “culturel” : la poétique de Michel Deguy portée à la pleine lumière par Martin Rueff«  ;

fin de l’incise… _

comment se repérer, pour le lecteur inexpérimenté _ en lecture, ici ! _

dans la foule de ce qui est proposé par le marché de l’édition ? et sur les étals des librairies ?..

Même si le propos de Dominique Rabaté, avec ce « petit livre« , a-t-il dit à plusieurs reprises _ l’essai comportant 112 pages _, n’était ni historique, ni « totalisant«  : il y faudrait une autre longueur (mais pas forcément ampleur d’analyse : celle-ci est déjà extrêmement sensible ici !) pour embrasser de son éclairage tout le genre, et en toute son histoire (depuis les romans de l’antiquité gréco-latine ; puis ceux de l’époque médiévale ; etc.),

c’est cette dimension d’historicité même qui m’a,

personnellement,

particulièrement intéressé

et m’a paru des plus « éclairante« …

Aussi ai-je pensé alors, en écoutant parler Dominique Rabaté aussi (un peu) sur ces considérations historiques _ ainsi que de philosophie « appliquée« … : davantage en cette conférence (d’une heure) qu’en son livre, dense et assez ramassé (en 112 pages)… _ ,

au travail « explorateur«  _ fascinant ! _ de Marthe Robert, en son L’Ancien et le nouveau (lu à sa parution aux Éditions Grasset, en 1963 : j’étais en classe de Première : et la « réflexion » sur la littérature me titillait ; lecteur boulimique et exigeant que j’étais depuis un bon moment déjà…), d’un côté,

et, sur un tout autre plan, à celui tout récent

_ cf mon article du 30 décembre 2009 : « Le devenir de la “langue littéraire” en France de 1850 à aujourd’hui : un admirable travail pour comprendre ce qui menace de mort l’exception (culturelle) française et les “humanités”« ... _

de l’équipe réunie par Gilles Philippe et Julien Piat pour leur très riche et instructif La langue littéraire _ une histoire de la prose en France de Gustave Flaubert à Claude Simon, aux Éditions Fayard,

à adjoindre aux références données (et discutées à la conférence, davantage qu’en son essai, court et intense, donc !)  par Dominique Rabaté lui-même en son livre,

qui ont servi à sa « méditation » _ et enquête _ littéraire sur ce volant précis-ci de la littérature

d’interlocuteurs, de stimulants,

ou d’abord de départs ou bases de sa réflexion et analyse,

ou parfois aussi de repoussoirs, à surmonter en quelque sorte :

La Pensée du roman, de Thomas Pavel,

L’Art du roman, de Milan Kundera,

La Bonne aventure _ Essai sur la « vraie vie », le romanesque et le roman, de Bernard Pingaud,

Nouveaux problèmes du roman de Jean Ricardou ;

ou, aussi, les désormais classiques La Théorie du roman de Georg Lukacs

et Mimesis d’Erich Auerbach…

Dominique Rabaté s’est référé aussi, bien sûr, à son essai précédent Le Chaudron fêlé _ Écarts de la littérature, paru aux Éditions José Corti, déjà, en 2006…


Et il se réfère aussi au passionnant L’Anneau de Clarisse _ Grand style et nihilisme dans la littérature moderne du grand Claudio Magris,

page 34 du Roman et le sens de la vie :

le sous-titre de ce recueil d’essai de Magris _ Grand style et nihilisme dans la littérature moderne _ est déjà bien éclairant sur l’axe d’enquête ici de Dominique Rabaté. Comme j’y souscris !!! 

Pour ma part,

j’interprète le regard de Dominique Rabaté ici sur le roman moderne et la « question » du « sens de la vie« 

comme affinant _ et assez considérablement... _ la dés-héroïsation des Temps modernes (depuis la Renaissance ; cf aussi François Hartog : Régimes d’historicité)

qui s’amplifie à partir de Flaubert

_ c’est un mot à George Sand de Flaubert, dans une lettre (de la fin décembre 1875) de leur échange assez suivi de correspondance, que Dominique Rabaté a choisi de mettre en exergue de son essai : Le Roman et le sens de la vie :

« Il me manque « une vue bien arrêtée et bien étendue sur la vie » _ reprend-il à sa correspondante. Vous avez mille fois raison ! mais le moyen qu’il en soit autrement.« 

Pour l’ambition de vérité (du roman : sur la vie) de Flaubert,

« la bêtise«  est bien toujours « de conclure«  !..

et de figer… _

et s’épanouit dans les diverses et variées à l’infini, en leur diaprure, Vies minuscules _ à la Pierre Michon, si l’on veut : Dominique Rabaté l’a reçu il n’y a guère, en ces mêmes salons Albert-Mollat… _ que nous offrent, en effet, les (grands) romanciers (dés-héroïsant) du XXème siècle (et des progrès de son nihilisme) ;

celle _ dés-héroïsation _ sur laquelle avait déjà commencé à ironiser l’humour noir ravageur et polyphonique de Cervantès en son Don Quichotte

Avec divers paliers en ce processus non régulier ni mécanique, certes :

Le Roman bourgeois de Furetière ;

Flaubert _ de L’Éducation sentimentale à Madame Bovary (ou l’« hystérie de la vie à soi« , selon la formule de la page 29 : « Une vie à soi ? celle des livres et des clichés« , ici… ; et Dominique Rabaté : « depuis les années 1850, la culture de masse a encore accentué cette tension entre prétention à l’originalité et conformisme« …) et Bouvard et Pécuchet : quelle odyssée !.. _, un maître du rendu de ce processus (mélancolique) :

et puis,

et que voici tout spécialement analysés ici, en cet essai-ci _ magnifique ! un essai doit-il donc être purement « académique » ?.. _, par Dominique Rabaté,

aux partie II, « La Leçon de la mort« 

et partie III, « L’Irrémédiable et l’inoubliable » :

La mort d’Ivan Ilitch de Tolstoï

et Vers le phare de Virginia Woolf :

la traduction préférée par Dominique Rabaté est celle revue par Magali Merle de l’édition la Pochothèque, en 1993, des Romans et nouvelles ; la traductrice proposant Voyage au phare pour son titre…


Un travail passionnant pour le lecteur aussi ;

à relier, pour moi, à l’histoire _ éminemment philosophique ! _ des avatars du sujet en la modernité et post-modernité (et nihilisme : cf Nietzsche…),

comme on voudra.

Le banal dés-héroïsé d’un sublime qui se « désenchante« 

à une certaine vitesse et selon diverses accélérations ou décélérations _ cf Max Weber ; et puis Marcel Gauchet : Le désenchantement du monde _,

mais non sans susciter des aspirations (idéalistes ?) à un ré-enchantement ;

pas trop donquichottesque ;

ou du moins, plutôt à la Cervantès l’auteur bourré d’humour

qu’à la Don Quichotte, le chevalier à la triste figure, son personnage qui meurt à la fin désenchanté…


Titus Curiosus, ce 8 mai 2010

de quelques symptômes de maux postmodernes : 1) en Italie, selon Erri De Luca

28avr

Deux forts articles de journaux, encore : afin d’un peu bien « décrypter » et « mettre à (un peu meilleure) lumière du jour » les impostures _ graves ! _ du « monde comme il va« ,

et depuis pas mal de temps, maintenant ; ou ce que Nietzsche appelle _ le présent lui convient toujours ! _ la « maladie«  _ endémique ; et suicidaire _ du nihilisme :

une (magnifique !) interview d’un Erri De Luca dans un très grand jour, descendu, exprès de la région du lac de Bracciano, où il vit désormais, en un café_ soit le Café Rosati ; soit le Caffè Canova : ils se font face sur la Place… _ de la Piazza del Popolo, à Rome, se prêter à un « entretien » avec le journaliste d' »El Pais« , Miguel Mora : « Nápoles transmite una educación sentimental nerviosa« ,

à l’occasion de la parution de la traduction espagnole (« El día antes de la felicidad« , paru aux Éditions Siruela le 22 avril 2009) de son « Il giorno prima la felicita«  (paru, lui, aux Éditions Feltrinelli le 1er janvier 2009) ;

dans « El Pais » du samedi 25 avril ;

et une « tribune libre » : « L’Etat français : dernier refuge de la « culture du résultat » ?..« , du philosophe Michel Feher dans « Le Monde » du dimanche 26 avril 2009.

« Une interview très intéressante : remarquable même !..
Erri de Luca était dans un très bon jour, ce jour-là, à ce moment-là,
Piazza del Popolo, en dégustant (au Rosati ? au Canova ?) un excellent café
_ même si pour ma part, je préfère prendre le café au Sant’Eustachio
ou à Tazza d’Oro, les deux tout à côté du Panthéon…
Ou à Campo dei Fiori !

En italien, le livre dont il s’agit s’appelle « Il Giorno prima la felicita«  »…

Titus

écrivais-je sur l’instant à l’ami Bernard Plossu en découvrant (puis en le lui adressant illico presto) cet article-ci d' »El Pais » :

ENTREVISTA : LIBROS – Entrevista Erri de Luca

« Nápoles transmite una educación sentimental nerviosa« 


MIGUEL MORA 25/04/2009

Ex militante revolucionario y ex obrero de Fiat, el autor italiano ha obtenido con sus obras anteriores el aplauso de la crítica y hoy le llega el del público con « El día antes de la felicidad« .

Erri de Luca es un tipo misterioso. Tiene cara de lord inglés, pero es napolitano y viste como un agricultor. Traduce obras del hebreo antiguo y del yiddish, pero asegura que tampoco es judío y que lo aprendió para leer la poesía de primera mano. Su cara de no haber roto un plato encubre un pasado agitado y comunista : fue militante revolucionario en Lotta Continua, y dice no arrepentirse en absoluto de haber vivido « el tiempo en que los obreros follaban« . Sus manos enormes y curtidas remontan también a ese momento : él mismo fue obrero en Fiat (montaba motores de camiones), y albañil, aunque sostiene que llegó tarde a la fiesta.

« En Nápoles no gustan los héroes. Siempre reducimos las historias heroicas, las deformamos, les quitamos importancia »

Hoy, a los 58 años, De Luca es un escritor, poeta y cuentista fuera de normas y etiquetas con títulos como « Aquí no, ahora no » _ « Une fois, un jour » _ y « Montedidio« . Alpinista ocasional, vive en el campo, cerca del lago de Bracciano, a 50 kilómetros de Roma. Su última novela encabeza la lista de los libros más vendidos del país. Es « El día antes de la felicidad«  (Siruela) _ on traduit donc Erri De Luca bien plus vite _ 1er janvier – 22 avril !!! _ en espagnol qu’en français !.. Es un relato sencillo y poético, con toques de historia y de humor napolitanos. Narra la educación sentimental de un joven huérfano, que crece en los años sesenta protegido por un portero de finca. Don Gaetano, sabio y memorioso, le explica cómo escondió a un judío durante la ocupación nazi, cómo fue la revuelta y la liberación. Mientras le escucha, el héroe va forjándose un carácter; el amor y el futuro los encontrará lejos.
La protagonista es Nápoles, ciudad de la que De Luca se largó a los 18 años. Hoy ha bajado a Roma, y llega antes de la hora a su café preferido _ le Rosati ? le Canova ? _ de Piazza del Poppolo.

PREGUNTA. ¿ Se siente italiano o napolitano ?

R. Como escritor y hablante, vivo en la lengua italiana. La lengua italiana es mi patria, pero no tengo sentimientos patrióticos respecto a mi país. Si suena el himno no se me acelera el pulso, con la bandera tampoco. Pero la lengua me gusta. Nací y crecí en napolitano y me convertí en un escritor en italiano. No soy un escritor italiano, sino en italiano. Acabé dentro de la lengua de mi padre.

P. ¿ Cambió de patria ?

R. De lengua. Mi padre pretendía que en casa hablásemos italiano sin acento. La mamma hablaba en napolitano. Ella era el lugar, era Nápoles.

P. Sé que murió hace unos días y vivía con usted. ¿ Tenían buena relación ?

R. Una relación tardía, adulta, pero buena, fuerte. Vinieron los dos a vivir conmigo porque no les llegaba el dinero.


P. ¿ Cómo era Nápoles cuando se fue ?

R. Una ciudad del sur del mundo. Tenía la más alta mortalidad infantil y la más alta densidad de Europa, vivíamos apezuñados. Era una ciudad tomada por los americanos, la sede de la VI Flota _ ce que raconte magnifiquement Ermanno Rea, à propos de la vie et de la mort de la militante Francesca Spada-Nobili, dans « Mystère napolitain » ; ou Domenico Starnone, à propos de ses parents, dans « Via Gemito » : deux grands livres sur la Naples d’alors… _ y estaba siempre abierta y vendida para las salidas de los miles de militares americanos, que eran la mayor fuente de renta. Vendida porque, si cometían un delito, respondían ante sus jueces militares. Era una ciudad entregada. Se parecía a Manila, a Saigón…

P. Una colonia…

R. Con toda la ilegalidad secundaria que eso comporta. Era el mayor burdel del Mediterráneo y el centro del contrabando europeo. Hoy es uno más entre tantos matices del norte, aunque sigue siendo una ciudad poco italiana, más bien española _ les Napolitains continuant superbement d’ignorer que leur chère « Via Toledo«  porte depuis pas mal de temps officiellement le nom de « Via Roma«  Los españoles estuvieron mucho tiempo _ avec les Aragon, les Habsbourg, puis les Bourbon _ y se hicieron napolitanos _ comme le troisième fils de Carlos III, Ferdinando ; son père (un grand roi !) parti occuper le trône de Madrid, en 1759, à la mort de son frère aîné, le roi Fernando VI… Et laissant le trône de Naples (ou plutôt « du Royaume des Deux-Siciles« ) à ce troisième fils… Los reyes que triunfaban hablaban el dialecto. Nápoles es _ en conséquence (peut-être ?..) en partie de quoi… _ anárquica y monárquica. Siempre le gustó tener un rey para los domingos _ c’est largement assez !.. Los otros seis días le gusta estar a su aire y que el rey _ suffisamment bonasse _ deje hacer.

P. ¿ La Camorra _ là-dessus, cf le grand « Gomorra« , de Roberto Saviano (ainsi que le tout récent « Le Contraire de la mort _ Scènes de la vie naplitaine« , du même Saviano… _ es española o americana ?

R. La palabra es española, la práctica es toda nuestra. Nada que ver con la Mafia, no tiene unidad de mando. Son 200 familias que se reparten el terreno en pequeños trozos, en permanente bronca entre ellas. Por eso es ingobernable. Existía con los españoles, se adaptó a los americanos, y cuando se fueron los americanos se volvió a adaptar.

P. ¿ Quién le contó la ocupación nazi ?


R. Mi madre. La historia la contaban las mujeres porque los hombres o estaban en el frente o en la cárcel o emboscados. Nápoles fue la ciudad más bombardeada de Italia. En ese momento en que se preparaba la batalla militar entre los alemanes y los norteamericanos surgió la insurrección, por pura acumulación de tensión. Fue una mezcla de pequeñas historias _ cf aussi Curzio Malaparte : « La Peau« 

P. ¿ Alguna heroica ?


R. En Nápoles no gustan los héroes. Siempre reducimos las historias heroicas, las deformamos, les quitamos importancia. Fue una combinación de miedo, cotilleos y cosas cómicas. Todo junto les hizo vencer _ la force (de vie comme de destruction) de Naples est terrible…


P. ¿ Por qué contó la historia a través de Don Gaetano ?


R. Porque uno escucha a las mujeres pero aprende de los hombres. Las mujeres son la fuente de información, pero la herencia _ surtout au Sud ?.. _ es un acto masculino, paterno. Es el padre el que transmite y entrega la pertenencia a un lugar. A través de ese relato masculino el chico se da cuenta de no ser un huérfano sino el hijo de una ciudad _ oui… _ de la que debe aprender a marcharse.

P. ¿ Nápoles es padre o madre ?

R. En mi caso fue una ciudad-causa. Fui consecuencia de ella, me transmitió una precisa educación sentimental nerviosa. Aprendí los sentimientos constitutivos del hombre, la cólera, la compasión y la vergüenza. Y me templó el sistema nervioso una octava por encima de lo normal _ ou le « tempérament », pas seulement musical, en l’occurrence… En eso Nápoles se parece a Jerusalén. Tiene esa misma tensión nerviosa. Disimula, no quiere escrutarte, finge ignorarte, pero en realidad te percibe _ toi… _ con todos los demás sentidos, con el olfato, las orejas, la vibración del cuerpo…

P. ¿ Sintió pena al irse ?

R. Me despegué como pude _ c’est là le drame de la plupart (tel Domenico Starnone, qui me l’a personnellement confié, en son passage à Bordeaux) des Napolitains qui doivent absolument la fuir pour respirer vraiment et pouvoir créer (à la notable exception près d’un Giuseppe Montesano : cf ses très beaux « Dans le corps de Naples«  et « Cette vie mensongère« ). Tenía encima una mole que me expulsaba. Me arranqué como un diente de una encía _ la formule est parlante ! Luego no pude reimplantarme _ vraiment _ en ningún sitio. Cuando me fui supe que no volvería, pero allí no podía seguir _ c’était l’asphyxie. Estaba solo. Luego _ juste après 68 _ encontré a mi generación _ pas tout à fait une famille _ en la calle, rebelde primero y revolucionaria después, y ahí sentí otra pertenencia, en vez de a un lugar, al tiempo _ c’est-à-dire « l’époque«  ; l‘ »esprit du temps«  Soy _ en cela _ un producto del tiempo, del 900 _ le XXème siècle.


P. Y de la revolución fallida.


Ici, on passe à l’après-Naples d’Erri de Luca, les
« années 68« 

R. Fui revolucionario a tiempo completo todo el decenio de los setenta. Milité en « Lotta Continua » hasta 1976, y cuando acabó me hice obrero y seguí _ dès lors _ solo. Fue la herencia del tiempo, y hoy lo veo con lealtad _ une vertu assurément importante. No me gusta la nostalgia, pero soy leal _ sans reniement _ con las razones de aquel tiempo. Pienso que aquel hombre joven que fui reconocería en mí a la continuación de sí mismo _ ce n’est certes pas rien ! Quiero pensarlo.

P. ¿ Hizo la cosa justa ?

R. Cuando las cosas hay que hacerlas, justo o injusto, no hay elección.

P. Pero no tomaron el poder.

R. Era una revolución rara. Era más cuestión de entorpecer al poder y hacer crecer a la sociedad _ que de prendre le pouvoir. No fue inútil. Fue necesario, y dio resultados _ sans précision de plus. No en las vidas personales, ahí lo pagamos caro porque fuimos la generación más encarcelada de la historia, incluida la que vivió el fascismo.


P. ¿ Usted hizo cárcel ?

R. Poca y muy temprano, en 1968 o 1969.

P. ¿ Y lucha armada ?

R. Prefiero no contestar _ les plaies demeurent ouvertes ; et pas seulement du fait du pouvoir de la droite italienne (Sivio Berlusconi, Gian-Franco Fini, etc…). Pero toda revolución prevé recurrir a las armas.

P. ¿ Defiende todavía el 68 ?

R. La historia la escriben los vencedores, no los condenados _ certes ; mais il faut aussi voir à long terme…. El 68 fue sólo _ et pas davantage _ el momento de la salida, la campana que sacó a los estudiantes de clase _ pour une brève récréation ? Era el periodo en que los obreros follaban. Ser obrero era una posición social de prestigio _ en effet. Eran un punto de referencia _ une sorte d’aristocratie (du travail). La vanguardia. Tenían poder y encanto _ soit du prestige et du charme…

P. ¿ Usted folló mucho ?

R. Yo no, me hice obrero tarde. Y entonces no teníamos derecho al amor, el amor era… un pretexto para retirarse.

P. ¿ Fue una guerra civil ?

R. No desde el punto de vista de las pérdidas, pero sí de las condenas : 5.000 condenados por banda armada. No existía la responsabilidad individual. Por eso esa generación hizo los hijos muy tarde. Yo ni eso, porque soy estéril como un mulo. Pire : Muchos compañeros míos se mataron con la heroína para ajustar cuentas rápido. Y unos pocos se hicieron periodistas o cambiaron de chaqueta _ sans commentaire.

P. ¿ Usted ajustó las cuentas ?

R. Hay todavía prisioneros, las cuentas sólo están suspendidas.

P. ¿ Y no piensa que Berlusconi es en parte consecuencia de esa lucha ?

R. No, es la alegre consecuencia de que hemos pasado de ser un país de emigrantes a un país de propietarios de casas, primera y segunda. Italia es un país de nuevos ricos, con todos los tics del nuevo rico. Por eso elige como primer ministro al más rico _ Silvio Berlusconi à trois reprises (1994-1995 ; 2001-2006 ; et depuis 2008) _, como presidente de la República _ Carlo Azeglio Ciampi (de 1999 à 2006) _, a un ex dirigente del Banco de Italia _ de 1979 à 1993 _, y como opositor, a un profesor de economía _ Romano Prodi. Italia ha idolatrado la economía, sólo piensa en el dinero. Es como Suiza, pero con más gente.

« El día antes de la felicidad« . Erri de Luca. Traducción de Carlos Gumpert. Siruela. Madrid, 2009. 132 páginas. 13,90 euros.


+ , en bonus, un article :

« La felicidad del héroe sin batallas » sur ce même livre (« El día antes de la felicidad« ) dans « Publico » (22 avril 09)

La felicidad del héroe sin batallas

El escritor italiano Erri De Luca cuenta en ‘El día antes de la felicidad’ la pérdida de la inocencia de un huérfano en plena Segunda Guerra Mundial

y participa hoy en un espectáculo sobre don Quijote.

El escritor italiano cree que la felicidad es pasajera.

REYES SEDANOPEIO H. RIAÑO – Madrid – 22/04/2009 22:59

Los invencibles se levantan una y otra vez, visten con camisa a cuadros y tienen manos tan grandes como sus botas para caminar por la montaña. Los invencibles son quijotes que lucharon en 1969, como Erri De Luca, que a los 18 años formaba parte de una generación insubordinada y rebelde a la que acompañó dentro del movimiento « Lotta Continua » hasta que fueron conscientes de que no podían cambiar el mundo. Un héroe que durante 39 años creyó que la revolución se hacía en la calle hasta que escribió, hace ahora 20 años, su primera novela, « Aquí no, ahora no » (Editorial Akal) _ en français « Une fois, un jour« , peut-être son plus beau livre (aux Éditions Verdier) _, acerca de su infancia napolitana.

Desde entonces, su arma cambió ; y esas manos gigantes que se frotan una contra otra con detenimiento y fruición, como buscando forzar sus pensamientos, se empeñan en predicar que la enseñanza es la base de la libertad de los pobres, de los trabajadores, porque como dice uno de los personajes de su nuevo libro « El día antes de la felicidad » (Siruela) : « La instrucción nos daba importancia a nosotros los pobres. Los ricos se habrían instruido de todas las formas. La escuela daba peso a quien no lo tenía, lograba la igualdad. No abolía la miseria, pero entre sus muros permitía la igualdad« .

Esas palabras que Erri De Luca pone a la deriva en el relato de una Nápoles convulsa y rebelde contra la ocupación alemana, donde un muchacho huérfano aprende a trompicones entre las enseñanzas de don Gaetano ; y el encuentro con el primer amor ; y la huida de su ciudad, también son las del propio autor. « En mi ciudad después de la guerra, la escuela pública era el lugar donde sucedía la igualdad« , explica el escritor a Público, en el Círculo de Bellas Artes de Madrid, a donde ha llegado para presentar hoy un espectáculo « Don Quijote y los invencibles« .

A fuerza de cultura

Una biblioteca nutrida consigue que el ciudadano llegue a otras posibilidades que no le estaban pronosticadas : « Fuera de la escuela, todo eran opresores y oprimidos, uno sobre el otro. Pero en la escuela todos estábamos juntos, los hijos de la burguesía con los hijos de la pobreza que no marchaban a trabajar. Es así como un chico pobre puede asumir una nueva condición y abrirse un nuevo camino que cuestione los confines designados por los avatares de la vida. »

« La felicidad es un golpe imprevisto, una cita sin preparar« 

Algo así buscó don Quijote, un personaje que Erri De Luca (Nápoles, 1950) considera irreductible, porque tras encajar reiteradas derrotas jamás se rinde, ni se acobarda. Por eso el homenaje en escena, por eso Don Quijote y los invencibles, con una puesta en escena en la que él cuenta las historias de un ser que jamás ganó una batalla, pero que no se dejó de plantear seguir peleando por el mundo que había imaginado, junto con un guitarrista y cantante y un clarinetista.

« ¿ Que por qué darle carne al relato y hacer teatro ? Porque yo soy un tipo que cuenta historias y las cuento oralmente y también por escrito« , explica para aclarar que los tres se benefician del noble lugar del teatro, pero simplemente se sitúan en torno a una mesa, hablando y cantando. « No hay ninguna otra acción« .

« Invencible » es una de las palabras que persiguen a alguien que ha luchado toda su vida por imponerse a su destino. De Luca es un Quijote sin batallas en su haber, porque como él mismo dice « los invencibles no son los que ganan las batallas, sino aquellos que continuamente derrotados, nunca dejan de levantarse para afrontar otra batalla« . Los invencibles tienen otra virtud, que les hace moverse sin tener nada fijo, sin saber qué será de ellos, y es que buscan la felicidad aunque son conscientes de que si llegan a conocerla alguna vez, deberán olvidarla inmediatamente. Esa es la esencia de la novela « El día antes de la felicidad« .

Esto de la felicidad

Erri de Luca se recoge las mangas de su camisa azul y blanca a cuadros, vuelve a frotarse las manos y explica que la felicidad « es un golpe imprevisto« . Esa es la razón por la que no se puede contar con ella para nada, « porque a lo sumo es un empujón de alegría« . De hecho, está convencido de que la mayor parte de las veces que pensamos en la felicidad es para referirnos al pasado, como memoria. « La felicidad es una cita para la que uno nunca está preparado, aunque sabe que la va a tener« , remata.

« En la escuela pública es el  lugar donde sucede la igualdad »

Aparentemente « El día antes de la felicidad » es el diario de alguien que recuerda su historia en un « cuaderno de rayas mientras el barco se encamina hacia la otra punta del mundo« . El personaje en esta maravillosa novela lucha por tratar de reconocer la felicidad, pero el autor le hace pasar por agravios que le harán comprobar en sus carnes que hay que olvidarla tan rápido como llegue, « porque como viene se va« .

En ese sentido, podríamos entender que toda una vida es el día antes de la felicidad, siempre a la espera de su aparición. Pero Erri De Luca lo niega: « No, porque si no sería como una zanahoria delante del caballo. Y eso no es la felicidad« . De hecho, el autor italiano se emplea a fondo en sus imágenes, en las que hay siempre un sentido poso autobiográfico: « El día antes de la felicidad yo era un alpinista que derrapaba en el descenso« , le hace decir al protagonista.

Diálogo en las cumbres

La referencia a la montaña en la anterior cita no es casual. Erri De Luca es un apasionado montañero, que ya ha dejado testimonio en algunos relatos como los que componen « El contrario de uno » (2005) _ « Le Contraire de un » _  y en « Tras la huella de Nives » (2006) _ « Sur la trace de Nives » _, donde se metió en la mochila las reflexiones de la alpinista Nives Meroi (Bérgamo, 1961) _ una de las tres mujeres que han ascendido siete de los catorce ochomiles _, con quien habló de la fascinación del alpinismo, de la aventura, la muerte… el viaje sin fin.

« El terrorismo comienza en nuestro siglo con Guernika »

« En realidad mi escritura tiene poco que ver con mis paseos por el monte. Sí compararía mi relación del monte con la lectura más que con la escritura« , nos cuenta. Hablamos de la naturaleza y es inevitable ver en su cara morena y afilada las huellas de un gran paseo reciente. Sus pequeños y audaces ojos azules se mueven con tranquilidad, charla pausado. « Me gusta ver en la montaña cómo sería el mundo sin nosotros _ dice dibujando un lugar sin habitantes. Allí escasea el hombre y además se acentúa la sensación de estar de pasada, de no habitar. Porque subir una cumbre es como dar un paseo en el desierto.« 

Curiosamente, Erri relaciona esos paseos solitarios con sus lecturas diarias del « Antiguo Testamento » al amanecer. « Entro no como creyente, sino como transeúnte ; y salgo con las mismas. Así hago en la montaña, entro y salgo« .

Terrorismo y revolución

No podemos dejar de preguntarle por la posibilidad de llevar adelante hoy una revolución por las generaciones más jóvenes, hay motivos. Él es rematadamente franco : « Podríais hacer la revolución, pero no queréis« . « El siglo XIX fue un siglo de revoluciones, de insurrecciones del pueblo que cambiaron las relaciones de fuerza entre opresores y oprimidos. Yo provengo de este siglo, donde la Historia aplastó las historias personales y dividió familias, separó pueblos… Fue un siglo muy invasivo« , recuerda.

Es pesimista con nuestras responsabilidades. « Hoy no veo ninguna solidaridad con la insurrección. Cuando nosotros, Occidente, invadimos Irak, Afganistán… no pasa nada, no veo entre los jóvenes la solidaridad con las luchas independentistas armadas de estas culturas islámicas que no quieren que nosotros vayamos a arreglar nada. Todo viene tachado como terrorismo y nadie quiere entender nada, ni oponerse a esa definición« , afirma. Para Erri De Luca, que conoce los relatos de Nápoles, la ciudad más bombardeada de Italia en la Segunda Guerra Mundial, terrorismo es un bombardeo sobre civiles. Por eso dice que « el terrorismo comienza en nuestro siglo con Guernika. »

La suite de cette réflexion, (sur quelques symptômes de maux postmodernes)

en un second volet : 2) « de quelques symptômes des maux postmodernes : 2) “l’inculture du résultat”, selon Michel Feher« …

Titus Curiosus, ce 28 avril 2009

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