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Quelques nouvelles de Claudio Magris, lecteur comme auteur, auteur comme lecteur ; un contemporain essentiel : il vient de publier « Croce del Sud »

11sept

Ce matin, je découvre dans le numéro de ce jour du Corriere della Sera quelques nouvelles récentes du cher Claudio Magris,

à travers un entretien qu’il vient de donner,

à l’occasion de la sortie, chez Mondadori, de son livre Croce del Sud ;

ainsi que de sa présence, ce vendredi 11 septembre, au Festival de littérature de Mantoue,

dont le titre est, cette année, « Note a piè di pagina nella storia »…

L’entretien

_ qui prolonge en quelque sorte, à mes yeux, les réflexions d’Alberto Manguel sur sa bibliothèque _

est intitulé : Traduttore, creatore infinito. Ogni libro ne nasconde un altro.

Le voici :

Traduttore, creatore infinito. Ogni libro ne nasconde un altro

Monti, Dreyden, Lin-Shu che rese in mandarino il «Don Chisciotte» senza conoscerne la lingua : storie di parole e scoperte. Claudio Magris l’11 settembre al Festivaletteratura

di CLAUDIO MAGRIS
Stati Uniti, gli incendi devastano la costa occidentale: bimbo di un anno trovato morto
Tim Mara (Dublino, 1948 – Londra,1997), «Lightbulb and book» (1996, litografia e stampa a colori su carta, particolare), courtesy Tate Britain, Londra
shadow

Le parole sotto le parole, scriveva un maestro della linguistica come Jean Starobinski, riferendosi agli anagrammi di un altro grande, Ferdinand de Saussure. Ogni parola ne copre, ne nasconde e ne contiene un’altra e quando la si usa è come smuovere il terriccio, evocarne e farne apparire altre, come oggetti sepolti nella terra o nella memoria, individuale e collettiva _ voilà. Ogni espressione ha a che fare con questa miniera nascosta ; più di ogni altro la traduzione, che per ogni espressione ne ha ben più di una a scelta, una cava stratificata nella mente dell’autore che si traduce e nelle civiltà che si incrociano in lui. Tradurre significa non tanto comunicare quanto ricreare _ voilà _ una vicenda, un destino, facendoli restare se stessi ma insieme diventare altri. Tradurre è una forma di scrittura, non meno creativa di altre cosiddette originali ; Vincenzo Monti ha inciso sulla letteratura italiana più con la sua versione dell’Iliade che con i suoi versi in proprio, e John Dreyden considerava la sua traduzione dell’Eneide il proprio capolavoro letterario.

La copertina del nuovo libro di Claudio Magris «Croce del Sud», in libreria per Mondadori
La copertina del nuovo libro di Claudio Magris «Croce del Sud», in libreria per Mondadori

Si traduce, in genere, da una lingua all’altra ma talvolta — è accaduto spesso — da un testo a sua volta già tradotto, cosa che moltiplica le rifrazioni e rende più ardua, anche discutibile ma non meno creativa e culturalmente importante la ricreazione finale. Un poliedrico studioso e scrittore, Mikaël Gómez Guthart, ha scritto un affascinante e bizzarro saggio, Lin-Shu, autore del Chisciotte. Lin-Shu, racconta Gómez Guthart, era un geniale erudito cinese, pittore, calligrafo e poeta — che per la lirica cinese sono quasi la stessa cosa —, romanziere e soprattutto traduttore. Non conosceva le lingue degli autori che ha fatto leggere ai lettori cinesi — Balzac, Dumas padre e figlio, Hugo, Goethe, Cechov, Ibsen, Tolstòj, Shakespeare, Stevenson, Cervantes, Montesquieu. Si faceva leggere in mandarino orale i testi dai suoi assistenti che conoscevano la lingua originale e poi li traduceva, attraverso gli occhi di un altro, come scrive Guthart _ et je pourrai y adjoindre les traductions du japonais de René de Ceccatty (en collaboration avec Ryôji Nakamura) ; pour ses traductions de l’italien, sa situation à l’égard de la langue à traduire est assez différente, comme il le narre en son magnifique Enfance, dernier chapitre ; cf aussi le podcast de mon entretien avec lui le 27 octobre 2017

Non è certo un corretto procedimento scientifico, perché rischia di trasformare o trasforma la traduzione in una copia-variazione di ventagli che si sovrappongono. Ma anche Isaac Bashevis Singer ha tradotto in jiddisch Hamsun senza conoscere il norvegese, e d’Annunzio senza conoscere l’italiano, diffondendo quei capolavori nella Mitteleuropa e nell’Europa orientale ebraica. Gombrowicz — è sempre Guthart che lo ricorda — riscrive in Argentina, con l’aiuto di due scrittori cubani che non conoscevano il polacco, il suo Ferdydurke, lo ritraduce con l’aiuto di un professore in francese ed è questa la versione che dalla Francia si diffonderà in tutta Europa e nel mondo.

Lin-Shu diviene, in modo analogo, il traduttore-autore del Don Chisciotte. Quel romanzo è, in questa prospettiva, esemplare anche perché alle origini della sua scrittura c’è la segreta idea che ogni testo sia sempre la traduzione o il rifacimento di un altro ; lo stesso Don Chisciotte sarebbe, nella finzione di Cervantes, la versione del romanzo di un autore arabo. In questo gioco di specchi Lin-Shu può apparire l’autore di Don Chisciotte non meno di Cervantes. È come se, sotto ogni libro, ce ne fosse sempre un altro, il caos — prima, contemporaneamente, al di fuori di ogni misura temporale — che il Verbo ordina e sempre ricrea. Probabilmente i traduttori esistevano prima della Torre di Babele. In quasi ogni Robinsonade, le numerose imitazioni e rifacimenti del Robinson Crusoe nel Settecento, il naufrago solitario sull’isola trova segni e carte di un altro naufrago vissuto e morto anni prima, che racconta a sua volta di predecessori. Profondo è il pozzo del passato, dice la prima riga della tetralogia di Mann, Giuseppe e i suoi fratelli.

Il mio maestro Giovanni Getto affermava di aver trovato, nel romanzo secentesco Historia del cavalier perduto di Pace Pasini — che a sua volta si riferiva a una storia di prepotente jus primæ noctis nel Veneto — una sorta di ipotetico «originale» dei Promessi sposi, dando così ancor più spessore al capolavoro manzoniano.



Chi avresti voluto essere? Così sembra talora chiedere l’autore al personaggio che sta narrando e che quanto più vivo e vero, tanto più sente sfuggire al suo controllo, come diceva Tolstoj a proposito di Anna Karenina : «Fa ciò che vuole». Ma l’autore pone talora questa domanda pure a se stesso — ai propri sogni e desideri, alle proprie incertezze, alla nebbia fluttuante della propria persona.

Se lo chiede, nel romanzo _ a-t-il été publié ?Les passants essentiels, un originale traduttore-scrittore, Jean Pastureau, che ha trascorso la vita _ il est né le 26 juillet 1940 à Limoges ; il vit à Apt, en Provence… _ a tradurre splendidamente in francese, insieme alla moglie Marie-Noëlle, libri altrui, soprattutto italiani, traduzioni straordinarie che sono diventate pure la sua scrittura personale, la sua indagine ma anche la sua invenzione della realtà _ Jean et Marie-Noëlle Pastureau sont les principaux traducteurs-passeurs en français de l’œuvre de Claudio Magris… Probabilmente per Jean Pastureau non c’è differenza tra essere narratore e traduttore, quasi due arrangiamenti di un’opera linguistica.

Chi avresti voluto essere ? la risposta a questa domanda è contenuta nel capitolo forse più bello del romanzo, L’homme à la mallette. Una valigia che idealmente contiene quasi tutto — le pagine scritte, le idee su quelle che saranno scritte, le cose da tradurre, la loro immagine che spinge a tradurle, forse un giorno sulla carta ma certo immediatamente nella mente. Anche qui, parole sotto altre parole. La traduzione è, potenzialmente, una piccola e infinita biblioteca di Babele.

Quest’ultima, come nella fantasia borgesiana, contiene tutto, ogni testo, ogni sua versione, ogni sua stesura, ogni diceria sul suo autore. Chissà, forse Jean Pastureau — come Lin-Shu — aspira ad essere soprattutto traduttore ossia scrittore totale. Probabilmente non si fa illusioni sulle sue parole, tradotte o inventate. Forse non cerca nemmeno l’eccellenza letteraria. Ma, come si dice nel romanzo, c’è un’unica vera eccellenza e «risiede nel sopravvivere». La scrittura è forse un filo di Arianna che aiuta non a uscire dal labirinto, come nel mito antico, ma a penetrarvi da tutte le parti, ad avvolgerlo, in modo da depistare il cammino che vuol condurci verso l’uscita dal labirinto della vita. Una scrittura che cerca di aiutare ad uscire di scena un po’ più tardi. Non è molto ma è già qualcosa.

Il logo del Festival di Mantova
Il logo del Festival di Mantova

L’appuntamento al Festivaletteratura

«Note a piè di pagina nella storia» : è questo il titolo dell’evento in programma l’11 settembre al Festivaletteratura di Mantova. Claudio Magris, in collegamento streaming, dialogherà con lo scrittore e critico Alberto Rollo sul tema del rapporto tra vita e finzione letteraria ( ore 17, piazza Castello). Il tema dell’incontro si lega al nuovo libro di Magris, in libreria per Mondadori, Croce del Sud. Tre vite vere e improbabili, che rievoca tre figure reali : un etnologo sloveno, un avvocato francese, una suora italiana. Germanista e scrittore, Magris è nato a Trieste nel 1939.

Claudio Magris, lecteur comme auteur ; auteur comme lecteur :

un contemporain essentiel…

Ce vendredi 11 septembre 2020, Titus Curiosus – Francis Lippa

L’essentialité existentielle fondamentale de la lecture et du livre : Alberto Manguel parlant passionnément de son « Je remballe ma bibliothèque », le 18 janvier 2019, à la Maison de la Poésie, à Paris

09sept

En creusant un peu, sur le web,

et suite à la réception de retours ce matin, déjà, de divers amis

à mon courriel d’hier

comportant mon article ,

je viens de tomber sur la vidéo (de 66′ 06) d’un vraiment passionnant entretien, avec Sophie Joubert,

à la Maison de la Poésie, à Paris, le 18 janvier 2019,

d’Alberto Manguel, à propos de son livre, paru en octobre 2018, Je remballe ma bibliothèque...

Et je suis bien obligé de réviser mon _ très injuste _ a priori d’une certaine cérébralité _ probablement à la Borges _ d’Alberto Manguel, en ses livres.

Préjugé issu, aussi _ en plus de mon peu d’affection pour Borges _, probablement, de mon propre goût des livres, des vrais livres, matériels,

ainsi que de ma propre bibliothèque (et discothèque) personnelle,

dont je suis bien incapable de dénombrer les exemplaires.

Et je dois bien dire que je partage bien des choix et préférences d’Alberto Manguel,

tant à propos de ses rapports aux livres,

qu’à propos de ses conceptions de la lecture ;

dans la suite du rapport amoureux de Montaigne à l’entretien infiniment vivant

_ « tant qu’il y aura de l’encre et du papier«  (ainsi que de la vie, afin de pouvoir lire et pouvoir écrire)… _,

issu de sa propre mise en rapport archi-vivante et foisonnante de la lecture et de l’écriture

de ses Essais.

Bref,

Alberto Manguel me plaît beaucoup en sa passion des livres _ et de ce qu’il sait en analyser _ ;

des livres comme medium infiniment précieux et essentiel d’entretiens vivants et infinis avec leurs auteurs,

bien au-delà, bien sûr, de la disparition physique de ceux-ci ;

et de l’obsolescence matérielle des livres mêmes…

Le livre et la lecture, effectifs tous les deux,

comportent ainsi, et par là,

une consubstantielle et vitale dimension d’éternité

_ à apprendre à saisir ; et ne surtout pas manquer !

Cf aussi ce magnifique article du merveilleux Philippe Lançon, publié dans Libération le 26 décembre 2018 :

Manguel dans toutes ses étagères

MANGUEL DANS TOUTES SES ÉTAGÈRES

Par Philippe Lançon 26 décembre 2018 à 18:46

L’Argentin installé à New York déplore la perte de sa colossale bibliothèque dans une élégie à ses chers livres, en forme d’inventaire.

Alberto Manguel en mai 2013 dans sa demeure à Mondion, dans la Vienne.
Alberto Manguel en mai 2013 dans sa demeure à Mondion, dans la Vienne.Photo Léa Crespi. Pasco

En 2015, suite à des problèmes avec ce calmar géant qu’est l’administration fiscale française, l’écrivain argentin et canadien Alberto Manguel quitte son Nautilus, bâti dans une verte campagne de notre pays. Il y vivait depuis quinze ans _ 2000 _ et avait constitué dans un ancien presbytère, à Mondion près de Châtellerault (Vienne), une bibliothèque de 35 000 livres. Elle était rangée sur deux grands étages dans une grange du XVe siècle. C’était une nef de cuir et de papier. L’avenir et le souvenir, l’espoir et la mémoire, l’imagination et la réflexion, tout paraissait vivre et se conjuguer dans le silence et les légers craquements du bois. «Chaque matin, vers six heures, écrit-il, je descendais, encore tout ensommeillé, me préparais du thé dans la cuisine obscure sous les poutres apparentes de son plafond et m’asseyais sur le banc de pierre, en compagnie de notre chienne, pour regarder la lumière du matin envahir lentement le mur du fond. Alors je rentrais avec elle dans ma tour, qui était attachée à la grange, et je lisais.» C’était le souhait de Montaigne, de Candide également ; mais il est difficile, en ce monde, de cultiver longtemps son jardin.

Consolation. Au moment de son départ, l’écrivain avait 65 ans. Il a d’abord rejoint Buenos Aires, où il est devenu directeur de la Bibliothèque nationale, comme l’avait été Borges. Au moment où Manguel quitta l’Argentine, en 1969, Borges lui offrit son exemplaire de Stalky et Cie, de Kipling, lu en Suisse pendant son adolescence. Mais Borges, contrairement à Manguel, n’était pas attaché au livre en tant qu’objet. Il n’en avait que quelques centaines, et les donnait volontiers à ses amis ; sa bibliothèque était sa mémoire.

Manguel habite New York désormais. Sa bibliothèque dort depuis son départ dans des caisses, au Canada _ à Toronto. Il n’y a plus accès. Je remballe ma bibliothèque évoque celle-ci, son histoire, le lien aux livres propre à l’auteur depuis l’enfance, son usage des bibliothèques publiques, ce qu’il a éprouvé en empaquetant la sienne, ce que peut signifier, pour un homme tel que lui, pour les hommes en général, d’Alexandrie à Don Quichotte, la création et la disparition d’une bibliothèque. L’auteur d’Une histoire de la lecture et des Voyages imaginaires est devenu sa propre métaphore. C’est une métaphore triste. Et donc une élégie, précise le sous-titre. Selon Littré, le sens du mot, qui définissait une forme de poésie grecque, est aujourd’hui : «Petit poème dont le sujet est triste ou tendre.» Ou les deux : «J’ai lu et relu bien des fois Don Quichotte depuis le temps où j’étais lycéen, et j’ai toujours éprouvé, surtout dans le chapitre où Quichano découvre la perte de ses livres, une sympathie profonde pour le vieil homme berné. A présent, ayant perdu ma propre bibliothèque, je crois pouvoir mieux comprendre ce qu’il a ressenti et pourquoi il est reparti de par le monde. La perte vous aide à vous souvenir, et la perte d’une bibliothèque vous aide à vous souvenir de celui que vous êtes vraiment.» Je remballe ma bibliothèque est une autobiographie, un inventaire et une consolation.

D’Israël, où son père était ambassadeur, à la France, en passant par Buenos Aires et d’autres lieux, Alberto Manguel fait donc le récit des vies brèves de ses bibliothèques, de leurs métamorphoses et disparitions. Chaque étape lui inspire une digression, il y en a dix. L’histoire du livre, par exemple de la bibliothèque brûlée d’Alexandrie, se mêle à des réflexions sur la mémoire, sur la justice, sur le lecteur possessif qu’il est : «Quel caprice m’avait fait rassembler ces volumes en un tout comparable aux pays colorés de mon globe terrestre ? […] Et ce que je suis à présent reflète-t-il cette étrange obsession ? Parce que si toute bibliothèque est autobiographique, son remballage semble avoir quelque chose d’un éloge funèbre. Peut-être ces questions sont-elles le véritable sujet de cette élégie.» Il écrit pour retrouver ce qu’il a perdu, et qu’il ne retrouvera pas.

Inquiétude. Perdre ses affaires ne tracassait pas sa grand-mère, une vieille juive émigrée en Argentine qui disait, «dans un curieux mélange de russe, de yiddish et d’espagnol» : «Nous avons perdu notre maison en Russie, nous avons perdu nos amis, nous avons perdu nos parents. J’ai perdu mon mari. J’ai perdu mon langage. Toutes ces pertes ne sont pas si graves, car on apprend à se réjouir non de ce qu’on a mais de ce dont on se souvient.» La tristesse de l’auteur vient en partie du fait que ses livres portaient physiquement _ voilà _ ses souvenirs, qu’ils les faisaient flotter dans l’espace, qu’ils leur fabriquaient une arche et ses ancres. Il n’avait pas besoin de les relire ou même de les ouvrir pour savoir qu’ils étaient là, l’accompagnaient et le guidaient, les bons comme les mauvais, les jamais lus comme les dix fois lus : «J’étais certain, sans avoir à les parcourir de nouveau, que le Nommé Jeudi, de Chesterton, ou un recueil de poèmes de Cesare Pavese seraient exactement ce qu’il me fallait pour exprimer par des mots ce que je ressentais n’importe quel matin donné.» Exactement ? Pas sûr. Si, en effet, les mots ne sont que des reflets captés dans la caverne de Platon, «ce que nous formulons en mots n’est qu’ombres d’autres ombres, et tout livre avoue l’impossibilité de saisir pleinement ce que peut retenir notre expérience. Toutes nos bibliothèques sont le glorieux compte rendu de cet échec.» C’est une maigre compensation à une telle perte. Elle se double aujourd’hui, pour le lecteur ami de cet homme-livres, d’une certaine inquiétude. Si le monde qui vient est, comme il semble, de plus en plus dépourvu de bibliothèques à domicile, les hommes sans livres _ voilà _ vivront l’échec du langage sans même disposer de cet éclatant compte rendu, de ce souvenir. Ils seront simplement un peu plus bruyants et un peu plus bêtes _ comme le redoutait Orwell…

De New York, Manguel m’écrit: «L’exemplaire de Stalky et Cie que Borges m’a donné est toujours avec moi, ainsi que certains autres : mon exemplaire dAlice, mon le Nommé Jeudi, mon Borges complet. Mais tous les autres me manquent et je les entends m’appeler la nuit.»

Philippe Lançon

Alberto Manguel Je remballe ma bibliothèque. Une élégie et quelques digressions Traduit de l’anglais (Canada) par Christine Le Bœuf. Actes Sud, 160 pp.

Ce mercredi 9 septembre 2020, Titus Curiosus – Francis Lippa

magnifique Dominique Rabaté sur le roman au XXème siècle à l’heure (« moderne ») de la décadence de la grandeur et de la défaillance des modèles (Saints et Héros) dans l’apprentissage (ou formation) du sujet « commun » (tout un chacun)

08mai

Magnifique conférence de présentation de son magnifique essai de « méditation » littéraire : Le Roman et le sens de la vie (aux Éditions José Corti)

de Dominique Rabaté, hier soir, vendredi 7 mai 2009, dans les salons Albert-Mollat,

en présence d’un public (de « lecteurs » amoureux de la « lecture de romans« , vraisemblablement…) nourri, amical

_ pas seulement, et même loin de là, composé de collègues (universitaires) : en fonction, certains, ou émérites, d’autres ; même si nombre d’entre eux étaient présents et n’ont pas manqué d’intervenir dans la séance (plus ou moins rituelle) des questions au conférencier, ensuite… _,

en présence d’un public attentif et tout à fait alléché, incontestablement,  par ce propos du conférencier d’éclairer ce genre de « lecture » (= la lecture de romans !) aujourd’hui si vivant, pour les « lecteurs » que nous (presque tous) sommes

_ vivant, chacun, notre existence subjective particulière,

séparée de celle des autres

(et par là plus ou moins solitaire, en sa « banalité«  commune partagée, aussi : les deux en même temps…),

voire singulière

(qui sait ? cf ici l’important cruciale de la « question« , pour « tout un chacun«  d’entre nous, en effet, du « sens de la vie«  pour lui, et pour nous, quand nous ne sommes pas aussi « auteurs«  de quelque « œuvre« ),

au premier chef, si je puis dire… ;

pour « tout un chacun«  qui sait et aime lire, du moins !!! cela va-t-il durer, à l’heure et ère (concurrentielles peut-être) des « images« , dont celles, mouvantes désormais, du cinéma et autres vidéos de diverses sortes : jusque sur le blog des libraires de la librairie Mollat !!!!

….

vivant, chacun, notre existence subjective particulière, donc,

en « lecteurs de romans«  tout particulièrement, en effet !

de romans davantage que d’autres genres de livres (et même de récits : la biographie, l’autobiographie, le journal intime, etc.), veux-je dire… _,

plus que jamais en 2010 :

d’où l’affluence et la vive curiosité à cette conférence vendredi soir

_ le podcast dure 65 minutes : il est passionnant ! et éclaire « magnifiquement«  ! le livre _

pour cet essai (méditatif, analytique et questionnant, plus encore…) de Dominique Rabaté : Le Roman et le sens de la vie

Le roman est devenu _ du XVIIIème au XIXème siècles _, puis est resté _ au XXème siècle ; et aujourd’hui aussi ;

même si c’est selon certaines variantes : qu’il appartient à l’essayiste, précisément, les distinguant, d’analyser (ou démonter) avec précision en leur détail (qui nous éclaire !) et dynamique ;

et nous faire, à notre tour (en « lecteurs d’essais«  alors : une spécificité un peu française, peut-être…), méditer… _,

le roman est devenu, puis est resté

en effet,

le genre littéraire rencontrant

_ auprès des lecteurs que nous sommes aussi très largement devenus en ces siècles (d’imprimerie et d’édition de livres de papier ; cf ici, par exemple, les travaux de Roger Chartier ; ou sa leçon inaugurale au Collège de France Écouter les morts avec les yeux… ; ou de Robert Darnton : cf par exemple Bohème littéraire et révolution _  le monde des livres au XVIIIème siècle…) _

le maximum de succès : il est loin, bien au contraire, de se démentir aujourd’hui ;

même si ce n’est pas nécessairement proportionnellement _ encore faut-il savoir ou apprendre à l’« évaluer«  ! _ à la qualité (du produit ; ou œuvre ! soit ici le roman !) :

sinon, c’est le temps et la postérité (= d’autres que soi ; ou du moins de « médiateurs » (instituteurs nécessaires) de son propre juger ; qui doit se former…) qui effectuent le tri (qualitatif : entre ce qui se périme, vite _ de plus en plus _, et ce qui demeure et reçoit la « reconnaissance » _ autorisée… _ de la valeur « littéraire » ; les lecteurs peu à peu finissant, et en masse, par s’y rallier (le reste de la production étant devenu caduc) à un peu meilleur escient ;

mais en attendant cette sélection qualitative médiatisée par des lecteurs compétents _ un tout petit nombre, comme a l’habitude de le dire à l’envi Jean-Paul Michel _

les romans, même de faible qualité, se lisent, s’achètent (et se vendent !) : selon des fonctionnement grégaires le plus fréquemment (cf les listes _ quantitatives, elles _ de best-sellers) :

comment se repérer, pour le lecteur encore inexpérimenté, ou débutant : mais chacun l’est, et à chaque fois, face à un auteur (ou un livre) inconnu de lui, et non précédé d’une réputation !

_ ici Jean Laurenti, modérateur de la conférence, demande très judicieusement à Dominique Rabaté de lire à haute voix un très beau passage du livre (aux pages 104-105 du Roman et le sens de la vie) explicitant lumineusement, et avec ses effets synthétisés, la distinction que celui-ci venait de faire en sa conférence entre deux concepts d’« expérience«  : celui d’Erlebnis et celui d’Erfahrung :

Dominique Rabaté avait introduit cette distinction significative, dans son essai, page 35, à propos de la géniale « lecture » par Walter Benjamin, en son article intitulé Le Conteur, (cf l’édition Œuvres III parue dans la collection Folio Essais en 2000) du « récit«  (ainsi le qualifie lui-même Walter Benjamin, plutôt que « roman« …) tel que le pratique Nicolas Leskov… : je cite le texte de Dominique Rabaté, à la page 35 :

par ce terme de « récit« , Nicolas Leskov « désigne l’art artisanal du conteur qui sait, par ses histoires, donner de sages conseils, transmettre une morale pratique, une expérience partageable par une communauté _ d’auditeurs-écouteurs assemblés en un même lieu et au même moment ; pas de lecteurs d’un écrit… _ que le mot allemand de « Erfahrung » recouvre. Cette communauté se réunit sous l’autorité de la mort _ c’est elle (et sa menace) qui plane(-nt) sur la « question«  lancinante et vrillante, ici, du « sens de la vie« , en effet ! tant pour le cas de La mort d’Ivan Ilitch que pour celui de Voyage au phare de ces deux mélancoliques que sont, au moins en l’écriture de ces deux « romans«  ici analysés, aux parties II et III de cet essai, et Léon Tolstoï et Virginia Woolf… _, ou plus exactement du sage mourant mais encore apte à léguer aux siens son savoir.

La réflexion de Benjamin prolonge d’autres études où il a insisté sur l’idée _ = sa thèse _ d’un appauvrissement de l’expérience _ subjective, personnelle ! _ dans les sociétés modernes, sociétés du journalisme, de la guerre et de la massification _ dépersonnalisante et désingularisante par là…

Pour lui, l’Erfahrung se meurt _ voilà ! est détruite, saccagée ! _ et laisse place à une expérience intransmissible, privée _ qui est, elle, du registre de l’Erlebnis (terme que l’on traduirait en français par expérience vécue, ou expérience individuelle _ = non reçue ni formée collectivement ; et expérience personnelle, par là. Giorgio Agamben a brillamment relayé ses thèses dans son livre Enfance et Histoire _ dont le sous-titre est « Destruction de l’expérience et origine de l’Histoire« …

Dominique Rabaté cite aussi, page 36, le travail, qui creuse la pensée de Benjamin encore plus loin, de Carlo Ginzburg dans Traces : Racines d’un paradigme indiciaire...

(cf pages 37-38 : « le roman, loin de simplement entériner la disparition de ce type de connaissance indiciaire _ qu’étaient les savoirs de la chasse, de la cuisine, de l’intuition psychologique que « les traités scientifiques peuvent malaisément codifier«  au XVIIIème siècle, page 36… _ devient aussi le lieu où les recueillir, où leur donner leur singularité selon les cas, les contextes, les arrière-plans que le romancier peut recréer. Je dirai donc avec Ginzburg (…) que l’Erfahrung continue d’entretenir des liens riches et subtils avec l’Erlebnis. J’ajouterai que le succès du roman à l’âge bourgeois lui vient aussi de cette mission historique : se faire l’écho et le relais _ oui ! _ des pratiques indiciaires de la connaissance au moment où celles-ci perdent leur utilité ou leur prestige social _ surtout _ contre les sciences et le savoir académique » : c’est superbe de lucidité !..) ;

et je signale, au passage, aussi, que leur traducteur (tant pour Carlo Ginzburg que pour Giorgio Agamben), de l’italien au français, Martin Rueff, sera présent

(ainsi que le très grand Michel Deguy en personne : pour son La Fin dans le monde aussi… ; de Deguy, lire en priorité son sublime « Le Sens de la visite« …)

mercredi 12 mai prochain dans les salons Albert-Mollat, à 18 heures,

pour présenter son (immense et magnifique !) essai d’analyse et synthèse de la poétique de Michel Deguy : Différence et identité _ Michel Deguy, situation d’un poète lyrique à l’apogée du capitalisme industriel ;

cf, sur lui, mon article sur ce blog du 23 décembre 2009 dernier : « la situation de l’artiste vrai en colère devant le marchandising du “culturel” : la poétique de Michel Deguy portée à la pleine lumière par Martin Rueff«  ;

fin de l’incise… _

comment se repérer, pour le lecteur inexpérimenté _ en lecture, ici ! _

dans la foule de ce qui est proposé par le marché de l’édition ? et sur les étals des librairies ?..

Même si le propos de Dominique Rabaté, avec ce « petit livre« , a-t-il dit à plusieurs reprises _ l’essai comportant 112 pages _, n’était ni historique, ni « totalisant«  : il y faudrait une autre longueur (mais pas forcément ampleur d’analyse : celle-ci est déjà extrêmement sensible ici !) pour embrasser de son éclairage tout le genre, et en toute son histoire (depuis les romans de l’antiquité gréco-latine ; puis ceux de l’époque médiévale ; etc.),

c’est cette dimension d’historicité même qui m’a,

personnellement,

particulièrement intéressé

et m’a paru des plus « éclairante« …

Aussi ai-je pensé alors, en écoutant parler Dominique Rabaté aussi (un peu) sur ces considérations historiques _ ainsi que de philosophie « appliquée« … : davantage en cette conférence (d’une heure) qu’en son livre, dense et assez ramassé (en 112 pages)… _ ,

au travail « explorateur«  _ fascinant ! _ de Marthe Robert, en son L’Ancien et le nouveau (lu à sa parution aux Éditions Grasset, en 1963 : j’étais en classe de Première : et la « réflexion » sur la littérature me titillait ; lecteur boulimique et exigeant que j’étais depuis un bon moment déjà…), d’un côté,

et, sur un tout autre plan, à celui tout récent

_ cf mon article du 30 décembre 2009 : « Le devenir de la “langue littéraire” en France de 1850 à aujourd’hui : un admirable travail pour comprendre ce qui menace de mort l’exception (culturelle) française et les “humanités”« ... _

de l’équipe réunie par Gilles Philippe et Julien Piat pour leur très riche et instructif La langue littéraire _ une histoire de la prose en France de Gustave Flaubert à Claude Simon, aux Éditions Fayard,

à adjoindre aux références données (et discutées à la conférence, davantage qu’en son essai, court et intense, donc !)  par Dominique Rabaté lui-même en son livre,

qui ont servi à sa « méditation » _ et enquête _ littéraire sur ce volant précis-ci de la littérature

d’interlocuteurs, de stimulants,

ou d’abord de départs ou bases de sa réflexion et analyse,

ou parfois aussi de repoussoirs, à surmonter en quelque sorte :

La Pensée du roman, de Thomas Pavel,

L’Art du roman, de Milan Kundera,

La Bonne aventure _ Essai sur la « vraie vie », le romanesque et le roman, de Bernard Pingaud,

Nouveaux problèmes du roman de Jean Ricardou ;

ou, aussi, les désormais classiques La Théorie du roman de Georg Lukacs

et Mimesis d’Erich Auerbach…

Dominique Rabaté s’est référé aussi, bien sûr, à son essai précédent Le Chaudron fêlé _ Écarts de la littérature, paru aux Éditions José Corti, déjà, en 2006…


Et il se réfère aussi au passionnant L’Anneau de Clarisse _ Grand style et nihilisme dans la littérature moderne du grand Claudio Magris,

page 34 du Roman et le sens de la vie :

le sous-titre de ce recueil d’essai de Magris _ Grand style et nihilisme dans la littérature moderne _ est déjà bien éclairant sur l’axe d’enquête ici de Dominique Rabaté. Comme j’y souscris !!! 

Pour ma part,

j’interprète le regard de Dominique Rabaté ici sur le roman moderne et la « question » du « sens de la vie« 

comme affinant _ et assez considérablement... _ la dés-héroïsation des Temps modernes (depuis la Renaissance ; cf aussi François Hartog : Régimes d’historicité)

qui s’amplifie à partir de Flaubert

_ c’est un mot à George Sand de Flaubert, dans une lettre (de la fin décembre 1875) de leur échange assez suivi de correspondance, que Dominique Rabaté a choisi de mettre en exergue de son essai : Le Roman et le sens de la vie :

« Il me manque « une vue bien arrêtée et bien étendue sur la vie » _ reprend-il à sa correspondante. Vous avez mille fois raison ! mais le moyen qu’il en soit autrement.« 

Pour l’ambition de vérité (du roman : sur la vie) de Flaubert,

« la bêtise«  est bien toujours « de conclure«  !..

et de figer… _

et s’épanouit dans les diverses et variées à l’infini, en leur diaprure, Vies minuscules _ à la Pierre Michon, si l’on veut : Dominique Rabaté l’a reçu il n’y a guère, en ces mêmes salons Albert-Mollat… _ que nous offrent, en effet, les (grands) romanciers (dés-héroïsant) du XXème siècle (et des progrès de son nihilisme) ;

celle _ dés-héroïsation _ sur laquelle avait déjà commencé à ironiser l’humour noir ravageur et polyphonique de Cervantès en son Don Quichotte

Avec divers paliers en ce processus non régulier ni mécanique, certes :

Le Roman bourgeois de Furetière ;

Flaubert _ de L’Éducation sentimentale à Madame Bovary (ou l’« hystérie de la vie à soi« , selon la formule de la page 29 : « Une vie à soi ? celle des livres et des clichés« , ici… ; et Dominique Rabaté : « depuis les années 1850, la culture de masse a encore accentué cette tension entre prétention à l’originalité et conformisme« …) et Bouvard et Pécuchet : quelle odyssée !.. _, un maître du rendu de ce processus (mélancolique) :

et puis,

et que voici tout spécialement analysés ici, en cet essai-ci _ magnifique ! un essai doit-il donc être purement « académique » ?.. _, par Dominique Rabaté,

aux partie II, « La Leçon de la mort« 

et partie III, « L’Irrémédiable et l’inoubliable » :

La mort d’Ivan Ilitch de Tolstoï

et Vers le phare de Virginia Woolf :

la traduction préférée par Dominique Rabaté est celle revue par Magali Merle de l’édition la Pochothèque, en 1993, des Romans et nouvelles ; la traductrice proposant Voyage au phare pour son titre…


Un travail passionnant pour le lecteur aussi ;

à relier, pour moi, à l’histoire _ éminemment philosophique ! _ des avatars du sujet en la modernité et post-modernité (et nihilisme : cf Nietzsche…),

comme on voudra.

Le banal dés-héroïsé d’un sublime qui se « désenchante« 

à une certaine vitesse et selon diverses accélérations ou décélérations _ cf Max Weber ; et puis Marcel Gauchet : Le désenchantement du monde _,

mais non sans susciter des aspirations (idéalistes ?) à un ré-enchantement ;

pas trop donquichottesque ;

ou du moins, plutôt à la Cervantès l’auteur bourré d’humour

qu’à la Don Quichotte, le chevalier à la triste figure, son personnage qui meurt à la fin désenchanté…


Titus Curiosus, ce 8 mai 2010

Un homme de vérité : Miguel Delibes (1920-2010)

13mar

Un article superbe à la mémoire d’un écrivain d’exception _ d’une sorte assez peu nombreuse : casta n’étant peut-être pas le terme le mieux adéquat à cette qualité-là… _, mis en ligne le jour même de sa disparition, à l’âge de quatre-vingt-neuf ans, en sa ville de Vieille-Castille, Valladolid : le grand, mais assez peu médiatique _ il n’a pas reçu, lui, l’onction d’un Prix Nobel : pas le plus politiquement correct, quand le choix s’est proposé, probablement : ainsi lui préféra-t-on un José Camilo Cela (1916-2002), en 1989… _, Miguel Delibes (17 octobre 1920 – 12 mars 2010 ; auteur de cet immense livre qu’est « L’Hérétique » !), par un ami, philosophe, Emilio Lledó _ qui vécut pas mal en Allemagne, au cours et de sa formation, et des péripéties de sa carrière universitaire _, dans ce grand journal qu’est El Pais, à la date du 12 mars :

« Un hombre de verdad«  _ avec de petits commentaires miens, en vert…

Confieso que evoco con mucho dolor mis recuerdos. Son tantos que en una situación como esta, no sé cómo seleccionarlos, qué decir. Tuvimos la suerte de conocer personalmente a Miguel Delibes cuando en 1962, después de muchos años en Alemania, vinimos Montse y yo, con nuestro primer hijo Alberto, de Heidelberg a Valladolid. Habíamos conseguido cátedras de Instituto en la ciudad castellana _ cité universitaire, en effet _ y esa posibilidad de juntar nuestros puestos de funcionarios de la enseñanza publica en la misma ciudad, nos animó, entre otras razones digamos más idealistas, a dar el nada fácil paso. Nunca nos arrepentimos. Los tres años en Valladolid fueron una época de felicidad, por muy duro _ certes _ que fuera, en aquellos tiempos, cambiar la orilla del Neckar por la del Pisuerga. Dos personas inolvidable, Julio Valdeón, que he tenido que recordar también en su reciente muerte y, ahora Miguel Delibes, simbolizan, ya en la memoria, ese prodigio humano _ une rareté possiblement miraculeuse, sans doute, en effet _ de la amistad.

Conocíamos la obra de Delibes _ 1962 est l’année de « Las Ratas« , après « El Camino« , en 1950 et « La Sombra deel ciprés es alargada« , en 1947 _ y admirábamos al sorprendente y extraordinario escritor. Sorprendente y extraordinario porque su literatura, en un mundo en buena parte fantasmagórico y oscuro, era una mano que nos mostraba la realidad _ quand régnaient les mensonges en cette Espagne à la chape de plomb du franquisme _, una mano tendida hacia las cosas, hacia la vida _ cettte formulation est très belle. Me gustaría que al hacer resucitar _ voilà _ estos recuerdos frente a este paisaje de tristeza, las pocas palabras con las que tengo que expresarlo hicieran latir _ battre, tel un cœur qui continue de battre… _ aquellas realidades, paradójicamente ideales, que aprendimos con él : la amistad, la memoria, las palabras.

Conocíamos, como digo, algunos libros de Delibes, pero la persona, la personalidad de Miguel era tan luminosa y sugestiva _ tiens donc ! _ como su obra. Se me inunda la memoria de anécdotas, de momentos que han quedado en ese profundo hueco del pasado y que, sin embargo, jamás se esfumarán en el olvido. Creo que mientras palpite el tiempo en el fondo de nuestro corazón _ oui _ vive en él _ toujours _ la vida de aquellos que hemos perdido y que nunca podremos dejar de querer. Una modesta, hermosa, melancólica y alegre forma de humana inmortalidad _ voilà, en forme de reconnaissance, et mélodieuse, qui ne cessera pas.

No quisiera cortar estas líneas que se inundan de recuerdos sin mencionar algo que no tiene tanto que ver con su persona sino con su obra. Aunque si bien se mira lo que hacemos y sobre todo, lo que hablamos o escribimos es siempre lo que somos _ oui ! Porque de su pluma surgía esos personajes maravillosos, creados por unos ojos brillantes de bondad _ la maldad oscurece la mirada (comme tout cela est juste ! et comme cette lumière de la bonté brille le plus souvent, hélas, par sa consternante absence ou, du moins, sa trop grande exceptionnalité…) _, de compasión _que quiere decir « sentir con el otro » _, y de inagotable ternura _ tendresse : par l’attention vraie à cette altérité de l’autre ; à l’inverse des rapacités égocentriques qui se déchaînent ces derniers temps, sous prétexte bien fort proclamé d’efficacité réaliste et de mondialité…

Delibes no es sólo el gran escritor de Castilla, el creador de un universo vivo, palpitante de realidad, sino el autor también de El hereje _ « L’Hérétique« , paru en traduction française le 20 janvier 2000, aux Éditions Verdier _, uno de los grandes libros _ en 1999 _ de la cultura española. Un libro en el que ya no se miraban los senderos de aquellos campos que recorría _ en chasseur, souvent _, de aquellos personajes con los que conversaba, sino de otros campos y otros personajes de sus sueños y, sobre todo, de la memoria histórica en que los soñaba _ je pense ici à cet autre chef d’œuvre de la littérature hispanique, où est aussi évoquée la Valladolid d’alors (et de ses hérétiques !..), qu’est le sublime « Terra nostra«  du mexicain (non nobelisé, lui non plus) Carlos Fuentes (cet extraordinaire chef d’œuvre est paru en 1975 à Barcelone)… Creo que, en cierto sentido, ese libro _ « L’Hérétique« , donc _ es una especie de ajuste de cuentas _ tranquille mais ô combien puissant ! _ con el país en el que su autor vivía _ voilà… _ : el país de la degeneración mental, de la hipocresía, de la falsedad _ ici tout est dit ; et cette Espagne là n’est certes pas morte, ni même prête à se mettre à genoux (et demander pardon) ; c’est l’Espagne des séides toujours bien vivaces des Jose María Aznar et Esperanza Aguirre ; cf aussi les films à coup sûr non obsolètes de Luis Bunuel : « Tristana« , etc…. Un libro que es preciso conocer _ = qu’il faut connaître ! _ porque, en el espejo _ véridique _ de sus páginas, podemos encontrar algunos de nuestros peores defectos _ dit ici le philosophe espagnol qu’est Emilio Lledo _ y alguna de nuestras esperanzadas, maltratadas, hostigadas, virtudes _ aussi : au singulier, ici, cette vertu : le service de la probité... La historia es efectivamente, « maestra de la vida » y su magisterio _ = son enseignement, la transmission la plus large de sa connaissance véridique _ no debe cesar nunca _ c’est un devoir de l’exigence authentiquement (et pas seulement formellement) démocratique. El escritor de Castilla _ qu’est le très grand espagnol Miguel Delibes (qu’un cancer vient, maintenant, de nous enlever) _ planteó en su obra una valerosa, clara simbología _ voilà : lumineuse ! _ en la que se hacían transparentes _ parfaitement visibles, donc, à la lecture ! _ los verdaderos _ OUI ! _ problemas de una sociedad frente a la que, indefensamente, luchaba la « libertad de conciencia« , que Cervantes _ mais lire aussi « Terra nostra« _ pone en boca del maltratado Ricote _ le marchand maure expulsé d’Espagne (et qui y revient, expatrié qu’il était en Allemagne), au chapitre XXXIV de la deuxième partie des aventures de l’ingénieux hidalgo de la Mancha, « Don Quichotte« 

Miguel Delibes pertenece a la casta _ peu nombreuse : mais par le seul mérite du courage de l’œuvre et des actes ; rien d’hérité (ni de fermé) ici… _ de los hombres de verdad _ c’est dit ! No deja de ser un consuelo _ oui ! _ ante tantos personajillos _ on apprécie le poids du suffixe _ vacíos y ambiciosos _ une paire d’adjectifs on ne peut mieux parlants _ que, a veces, pretenden confundirse con ellos. Pero no pueden _ tant que demeurent des vigilances et résistances aux petits puissants hargneux de notre air du temps ; ce combat-là ne peut jamais cesser.

Emilio Lledó es filósofo y escritor.

Merci

à Miguel Delibes, pour son œuvre de vérité ;

à Emilio Lledo, pour ce très bel hommage ;

et à un journal tel qu’El Pais, pour sa mission au quotidien…


Titus Curiosus, ce 13 mars 2010

Le souffle de la philosophe sur le monde : un appel fort de Thérèse Delpech (dans le Monde)

22nov

« Le déclin de l’Occident » : un texte fort de la philosophe Thérèse Delpech, ce matin sur le site du Monde ; et qui nous rappelle l’urgente nécessité de telles « mises en perspective«  _ civilisationnelles _, dans un univers médiatique atomisé en misérables micro-considérations, équivalant à un épais brouillard, par son insistant, répété, obstiné rideau de fumée, au fil des jours… et pour quels misérables profits de si peu nombreux (qui, de plus, se croient très malins : « après nous, le déluge ! » ; ou « la France… ton café fout le camp !« , dirent, en leur temps, rapporte-t-on, deux des maîtresses de Louis XV) ?!..

Voici l’article,

assorti, selon ma coutume, de quelque farcissures de mon cru : en forme d’amorce de « dialogue« 


« Le déclin de l’Occident« , par Thérèse Delpech

LE MONDE | 21.11.09 | 13h40  •  Mis à jour le 21.11.09 | 13h40

Le « thème«  _ oui ! et ce n’est pas une problématique ; cf le distinguo nécessaire (!) d’Elie During en sa conférence au CAPC le 7 avril 2009 (cf mon article) _ du « déclin de l’Occident » est utilisé de plus en plus fréquemment _ idéologiquement !.. _ par ceux qui cultivent à son égard ressentiment, désir de revanche, ou franche hostilité : c’est le cas de la Russie, dont tous les Occidentaux cultivés intègrent pourtant le génie artistique dans le patrimoine occidental ; de la Chine, qui attend son moment historique avec une impatience qu’elle a du mal à dissimuler ; ou du régime de Téhéran, dépositaire autoproclamé d’une mission d’expansion de l’islam dans le monde.

Quels que soient les arguments _ idéologiques ? pertinents ? _ utilisés par ces pays _ ou leurs dirigeants _, ils méritent qu’on leur fasse au moins une concession _ de « réalisme » ! _ : ils disposent pour étayer leur thèse de solides appuis ; et notamment de la répugnance croissante du monde occidental _ lui-même… _, États-Unis compris, à continuer d’être des sujets de l’Histoire _ ou la tentation du repli du soi (et son estomac) : et c’est cette situation-ci qui irrite l’auteur de l’article ; jusqu’à l’amener à prendre la plume (ou le clavier)…

En revanche, ces adversaires ignorent une chose aussi importante que ce qu’ils comprennent : le déclin est un des plus grands « thèmes » _ voilà : mais un « thème«  suffit-il à faire une « problématique«  ?.. _ de la culture occidentale, depuis le récit d’Hésiode « Les Travaux et les Jours » à l’orée de la civilisation grecque, jusqu’à l’ouvrage, médiocre celui-ci, mais beaucoup plus connu, d’Oswald Spengler au début du XXe siècle, « Le Déclin de l’Occident« .

Le fil du déclin court dans notre histoire comme un refrain lancinant _ quelles fonctions a donc la ritournelle ? (cf ce concept deleuzien : La ritournelle) _, qui n’est nullement lié à l’horreur du changement, dont le monde occidental a au contraire considérablement accéléré le rythme, mais à une véritable obsession _ à interroger ! et dans ses diverses « versions« _, qui est celle de la chute. Ce n’est pas simplement un héritage judéo-chrétien : avant la chute des mauvais anges du christianisme, il y avait déjà, dans la mythologie grecque, celle des Titans. Dans les deux cas, les héritiers de ces histoires conservent la mémoire d’une irrémédiable _ voilà ! _ perte.

Les versions philosophiques ou littéraires de ce « thème«  _ oui, oui _ sont innombrables : le « Timée » de Platon comprend le récit d’un temps circulaire où il n’est mis fin à la dégénérescence progressive de la création qu’avec l’intervention divine _ démiurgique. Avant Platon, Socrate avait dénoncé un des signes du déclin de la pensée avec la montée des sophistes _ Thrasymaque (dans « La République« ) ou Calliclès (dans « Gorgias« ) _ qui s’intéressaient beaucoup plus à la puissance qu’à la vérité _ un débat toujours, toujours crucial ! Au début du XVIIe siècle, John Milton donne de la lutte des anges une version si terrible dans « Le Paradis perdu » que Bernard Brodie choisira d’en retenir le récit pour introduire un de ses livres sur la bombe atomique.

A peu près au même moment, Miguel de Cervantès consacre son œuvre la plus importante à la nostalgie du monde de la chevalerie : la triste figure de Don Quichotte exprime la tristesse d’un homme qui ne peut pas vivre dans un monde où l’héroïsme et les aventures n’ont plus de place que dans l’imagination _ dévoyée de l’action efficace : cf là-dessus le beau livre de Marthe Robert : « L’Ancien et le nouveau«  Quand l’illusion est devenue impossible à soutenir, il meurt de mélancolie _ oui ! _ sous le regard désespéré de son fidèle Sancho, prêt à reprendre seul les folles entreprises de son maître.

Douze ans avant « Le Déclin de l’Occident » (1918-1922) de Spengler, Andrei Biely donne _ dans son grand « Petersbourg« _ une version beaucoup plus puissante de l’incendie qui commence à saisir le « monde d’hier « _ cf aussi celui, magnifique aussi (!), juste un peu plus tard, de Stefan Zweig_ au début du XXe siècle : « Les événements commencent ici leur ébullition. Toute la Russie est en feu. Ce feu se répand partout. Les angoisses de l’âme et la tristesse des individus ont fusionné avec le deuil national pour produire une horreur écarlate singulière. »

En somme, comme le disait Jacques Bainville, « tout a toujours très mal marché ». Les avenirs radieux, les lendemains qui chantent, ne sont que des épiphénomènes dans la culture occidentale, qui finissent d’ailleurs le plus souvent de façon catastrophique, ce dont témoigne amplement le XXe siècle. Comme quoi le pessimisme peut avoir du bon _ voilà ! C’est un avertissement _ une alerte ! à bons entendeurs, salut ! _ que peu de grands esprits _ voilà ! _ ont négligé _ mais les grands esprits se sentent comme de plus en plus esseulés, par les temps qui courent…

Même les auteurs dont on cite à tort et à travers les propos enthousiastes sur l’Histoire en ont souvent conservé précieusement une solide dose. Emmanuel Kant, par exemple, dont on vante volontiers le projet de paix perpétuelle, sans doute parce qu’il n’a jamais été aussi utopique et perdu dans le brouillard, affirmait _ en sa « Religion dans les limites de la simple raison« , en 1793 _  qu' »avec le bois tordu de l’humanité, on ne saurait rien façonner de droit« .

C’est une conclusion que les Européens ne sont jamais tout à fait parvenus à faire partager aux Américains, dont l’Eden semble manquer d’un acteur essentiel : le serpent. Cette absence est, si l’on peut se permettre cette expression, particulièrement frappante _ hélas ! _ dans l’administration Obama, qui ouvre les bras à tous vents, sans craindre les tempêtes ou même les mauvais courants d’air à l’abord de l’hiver. Le président américain devrait relire Herman Melville _ à commencer par l’immense  « Moby Dick«  _, qui, pour avoir de solides racines écossaises, n’en est pas moins un des plus grands écrivains que l’Amérique ait produit.

Certes, il y a dans le « thème » _ mou _ du déclin un risque évident : le découragement face à toute entreprise humaine, voire, ce qui est pire, une forme de complaisance _ oui : masochiste _ dans la chute, qui est, précisément, l’attitude du personnage de Jean-Baptiste Clamence dans l’œuvre de Camus qui porte ce nom _ en 1956. Tout le monde est coupable dans un monde où la chute est la règle et la rédemption un leurre. Il n’y a plus ni valeurs, ni hiérarchie, ni jugement possibles. La différence entre le meurtrier et sa victime est une affaire de perspective, comme l’est celle qui sépare le « bon » du « mauvais » gouvernement dont une _ justement _ célèbre fresque _ d’Ambrogio Lorenzetti, au Palazzo Publico _ de Sienne a représenté les caractéristiques. On peut se vautrer dans le déclin _ public et privé _ comme d’autres dans la fange et y trouver un certain confort : les choses sont ainsi, pourquoi s’en faire ?

Mais la force _ voilà _ du « thème«  _ en ce qu’il comporte, tout de même, de « problématique » ; et à cette condition sine qua non _ est celle du retour sur soi et de la réflexivité, qui permet de mesurer les erreurs, les fautes, et de porter un jugement sur l’engourdissement éthique _ expression importante ! à un moment de tétanisation face à la marée des corruptions (politico-économiques particulièrement) _ où le monde est plongé _ pour agir alors et dès lors en cette connaissance de cause-là ! Les peuples qui refusent de se pencher sur leur passé n’atteindront jamais la maturité historique. A bon entendeur, salut ! _ voilà !

Il y a là une vraie supériorité _ ah ! ce serait la bonne nouvelle de cette intervention, ici, de Thérèse Delpech ! _ des pays occidentaux, qui ont passé des décennies à tenter de comprendre l’abîme _ voilà ! _ dans lequel ils ont plongé, sur la Chine et la Russie, qui auraient pourtant matière à réflexion _ sans doute !.. Les Européens _ et sans (ridicule !) autosatisfaction ! _ ont, encore aujourd’hui _ mais pour combien de temps ? et lesquels d’entre eux ? Peut-on (jamais !) généraliser ?.. _, conscience de se trouver « au milieu des débris d’une grande tempête », comme l’écrivait Balzac _ dans l’« Envers de l’Histoire contemporaine« , en 1848… _ des rescapés de la Révolution française. Il suffit pour en témoigner de suivre la production cinématographique allemande _ ainsi que sa littérature, aussi ! Ou l’accueil fait (à Berlin) à un Imre Kertész, l’auteur du sublime terrible « Liquidation« 

La réflexion et le souvenir seuls peuvent donner la force _ voilà l’enjeu ! _ de reconnaître dans la violence et la désorientation _ un concept important, lui aussi…de l’époque _ oui : tel est le réel qui interroge !.. _ le prélude potentiel de nouvelles catastrophes _ soit ce qui nous menace tous bel et bien !.. Ils constituent même _ oui ! _ le premier pas _ voilà ! _ pour tenter _ par un sursaut sur soi (de nous tous ? ou seulement des dirigeants ?..) _ de les éviter. Si les massacres passés sont des sujets tabous, comment condamner _ au lieu de se lier les mains ! _ ceux du présent ? Si les liens de Pékin avec le régime de Pol Pot sont censurés _ oui _ au moment du procès des Khmers rouges, si le nombre des victimes de la révolution culturelle ne fait l’objet d’aucun travail sérieux _ oui _ en Chine, si les archives du goulag ou de la guerre en Tchétchénie doivent être protégées _ oui _ des autorités russes, que penser de l’attitude de ces pays _ maintenant _ à l’égard de massacres à venir ? _ certes !!! qui donc le remarque et s’en soucie réellement ??? Qu’est donc ? et où se situe ? le véritable « réalisme » ???

Certes, le retour sur soi, pour être nécessaire, n’est pas suffisant _ non plus : en effet !.. Le monde occidental doit encore affronter _ on ne peut plus activement… _ d’épineux problèmes : la disparition progressive des grandes questions qui ont agité l’esprit _ public : que devient-il, celui-ci ?.. où (dans quels marécages ou quels sables) est-il donc en train de s’évanouir et perdre ?.. qu’en est-il, même, des « démocraties« , aujourd’hui ?.. _ au profit des « puzzles » ou des « minuties » _ oui ! _ dénoncées par Karl Popper dès 1945 _ dans « La Société ouverte et ses ennemis«  _ traduit un rétrécissement _ suicidaire _ de la vie intellectuelle _ oui ! _ au moment précis où la possibilité d’éclairer _ voilà ! _ de nouveaux horizons a considérablement augmenté avec les moyens _ encore faut-il savoir au service de quelles finalités (ou ambitions) on (!) choisit de les placer, ces moyens-là !.. _ de communication contemporains ; la revanche du sacré _ sur le laïque _, avec un retour fracassant de la religion sous des formes violentes et destructrices _ se fanatisant… _, renvoie au vide spirituel _ le nihilisme (!!!) que dénonce la lucidité extrême de Nietzsche ; relire toujours le « Prologue » lucidissime d’« Ainsi parlait Zarathoustra«  _ de nos sociétés : elle ne rencontre d’ailleurs aucune autre réponse que celle des armes _ tristement faible « ultima ratio regum«  Le travail _ de problématisation, d’abord : à l’encontre des vains seuls « thèmes«  _ est à peine engagé sur ces sujets en Occident. Mais le don _ qui le donne ? qui le construit ? _ du souvenir _ cela s’élabore et se construit sérieusement : c’est aussi la tâche (et l’honneur !) du « métier«  d’historien _ est pour les peuples comme pour les individus le début _ déjà _ de la cure psychique. D’où l’intérêt _ somme toute ! et en pratique… _ du « thème » du déclin _ surtout s’il est correctement « problématisé » !..

Pour conclure donc, ce « thème » _ que vient « relancer » ici, avec brio, Thérèse Delpech… _ n’a pas pour fonction _ voilà la perspective foncièrement « pratique« , donc, de Thérèse Delpech ici… _ d’entretenir une culture crépusculaire _ mélancolique… _ ou d’annoncer sans trop de réflexion _ hélas : médiatiquement… _ l’avènement de l’Asie sur la scène mondiale. De quoi parle-t-on au juste en évoquant un ensemble géographique aussi disparate ? Et qui peut dire ce que cet avènement nous réserverait ? L’avenir nous paraîtrait moins profondément déstructuré _ voilà ! _ si nous tirions _ vraiment ! _ les conséquences _ on ne peut plus effectives _ d’une vérité toute simple : le seul moyen de participer _ oui ! _ à la réalisation _ oui ! _ d’un monde _ géo-politico-économique… _ plus stable _ n’est-ce qu’un euphémisme ? _ est d’en avoir _ d’abord ; et si peu que ce soit _ une idée _ puis, qu’elle soit, si possible, un peu « juste« 

Ceux qui disposent des meilleurs outils pour la produire _ cette « idée » d’un « monde plus stable«  : n’est-ce donc là qu’une expression euphémisée ?.. _ sont aussi ceux qui ont la conscience la plus aiguë _ oui _ du caractère tragique de l’histoire _ certes : avis à certains idéalistes américains ??? et affairistes à (fort) courte vue européens ??? Les grandes catastrophes du XXe siècle font partie _ oui ! _ de notre héritage. Nous sommes des êtres du déclin et du gouffre qui ont soif de renaissance et de salut _ qu’entend donc Nietzsche par le mouvement même du « surhumain » ? sinon cela même ?.. Beaucoup de peuples pourraient _ et devraient ; ou doivent… _ se reconnaître dans ce miroir _ et se donner peut-être aussi des dirigeants (à commencer par des chefs d’État ! ou de ce qui en reste… cf notre malingre « Europe« …) en cohérence avec cette lucidité-là!.. Que de chemin (politique et géo-politique, en particulier ; mais aussi dans l’organisation même du travail et de la société ; et de la vie des Arts et de la culture !) à faire !..

Thérèse Delpech


Politologue et philosophe, chercheur associé au Centre d’études et de recherches internationales (CERI) et membre du conseil de direction de l’Institut international d’études stratégiques (IISS), Thérèse Delpech a notamment écrit chez Grasset « L’Ensauvagement » (2005), « Le Grand Perturbateur : réflexions sur la question iranienne » (2007), et publiera en 2010 « Variations sur l’irrationnel« . ……

 

Une alerte essentielle :

merci !

Madame Thérèse Delpech…

Titus Curiosus, ce 22 novembre 2009

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